David Van REYBROUCK, "Contro le elezioni.
Perché votare non è più democratico", Feltrinelli, 2015
pagine 155, € 14,00, eBook 9,99
Scritto in modo piano, chiaro, argomentato offre un'analisi tagliente dello stato in cui versano i sistemi politici attuali: una evidente crisi di legittimità si somma a un deficit di efficienza ed efficacia. Il risultato è una sinergia pericolosa: lo stallo e la disaffezione al voto.
Numeri univoci indicano il crescere del non voto, nei singoli Paesi a democrazia più matura e a livello europeo. Non si crede più che la democrazia, troppo spesso sfigurata da una tecnocrazia rivelatasi incapace di produrre risultati 'che incidono', al pari del tradizionale ceto politico che ha unito inconcludenza a corruzione, possa essere uno strumento valido per governare la complessità dell'oggi, tra l'altro con una visione equa e anticipatrice al domani.
L'esame del presente è convincente.
Interessante anche l'excursus storico che, risalendo alla Grecia classica e al modello ateniese, cerca di dimostrare come il sistema delle scelte per sorteggio sia stato in uso, sia pur circoscritto, in vari paesi europei, prima di cedere alla modalità vincente del voto attraverso elezioni.
La proposta, benché meno drastica di quanto lascerebbe credere il titolo del saggio 'Contro le elezioni'), immagina un graduale inserimento dello strumento sorteggio nelle procedure e nelle prassi democratiche. L'ispirazione, supportata ormai anche da una messe di dati e casi recenti dai risultati confortanti (per l'Europa, almeno Irlanda, Islanda; fuori d'Europa, Canada e diversi stati USA) è quella della 'democrazia deliberativa': che è vista, se non sostitutiva della democrazia elettorale, quanto meno complementare.
È un'ipotesi quanto mai discutibile: e l'autore peraltro non nasconde limiti e difficoltà, ma alla fine, pesati i pro e i contro, la scelta è auspicata come soluzione ottimale per evitare il collasso dei sistemi democratici, sempre più probabile.
Un libro utile, leggibile senza difficoltà anche da non specialisti: che pone sul tavolo una questione, quella della caduta di efficacia e di legittimazione del modo attuale di (non)funzionamento dei sistemi politici, che dovrà comunque, prima o poi, essere affrontata. E già il poi rischia di essere tardivo.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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Nel 1972 c’erano 44 stati liberi. Nel 1993 si è arrivati a 72. Oggi si contano 117 democrazie elettive, fondate cioè sulla procedura delle elezioni, su un totale di 195 paesi. Tra queste, 90 sono considerate democrazie effettive. Mai nella storia ci sono state tante democrazie come oggi, e mai questa forma d’organizzazione dello stato ha avuto tanti sostenitori. Eppure l’entusiasmo sta venendo meno. Lo stesso World Value Survey ha fatto notare che, nel mondo intero, il bisogno affermato di leader forti, “che non necessitino di tenere conto di elezioni o di un Parlamento”, è considerevolmente aumentato negli ultimi dieci anni e che, al contrario, la fiducia nei parlamenti, nei governi e nei partiti politici ha raggiunto un livello storicamente basso. È come se avessimo aderito all’idea della democrazia, ma non alla sua pratica, per lo meno non alla sua pratica attuale. (David Van Reybrouck, Contro le elezioni, Feltrinelli, 2015)
Negli anni sessanta, più dell’85 per cento degli europei partecipava alle elezioni. Negli anni novanta, questa cifra era inferiore al 79 per cento. Nel corso del primo decennio del Ventunesimo secolo è scesa addirittura sotto il 77 per cento, il livello più basso dalla Seconda guerra mondiale. In termini assoluti, si tratta di milioni di europei che non vogliono più andare alle urne. Rappresenteranno presto un quarto degli elettori. Negli Stati Uniti, la situazione è ancora più critica: alle elezioni presidenziali la partecipazione è inferiore al 60 per cento, a quelle intermedie si aggira addirittura intorno al 40 per cento. L’astensionismo sta diventando la principale corrente politica in Occidente, ma non se ne parla. (David Van Reybrouck, Contro le elezioni, Feltrinelli, 2015)
I lavori di James Fishkin hanno segnato una vera svolta deliberativa nelle scienze politiche. Nessun ricercatore serio mette oggi più in discussione il forte impulso che può apportare la democrazia deliberativa al corpo gravemente malato della democrazia rappresentativa elettiva. (...) Chiunque dubiti del fatto che dei cittadini comuni, tirati a sorte, siano capaci di prendere decisioni sensate e razionali, dovrebbe leggere questi rapporti. Le conclusioni di Fishkin sono ancora una volta confermate. (David Van Reybrouck, Contro le elezioni, Feltrinelli, 2015)
... molto semplice: o la politica spalanca le porte, o queste non tarderanno a essere sfondate da cittadini in collera che, scandendo slogan come No taxation without participation, sfasceranno la mobilia della democrazia, strapperanno il fregio del potere e lo trascineranno in piazza. Purtroppo non è una finzione. Nel momento in cui termino questo libro, l’Ong Transparency International pubblica il suo Global Corruption Barometer. I risultati sono semplicemente scioccanti. In tutto il mondo, i partiti politici sono annoverati tra le istituzioni più corrotte del pianeta. In pressoché tutte le democrazie occidentali sono al primo posto nella classifica della corruzione. Le cifre dell’Unione europea sono assolutamente drammatiche. (David Van Reybrouck, Contro le elezioni, Feltrinelli, 2015)
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Nel 1972 c’erano 44 stati liberi. Nel 1993 si è arrivati a 72. Oggi si contano 117 democrazie elettive, fondate cioè sulla procedura delle elezioni, su un totale di 195 paesi. Tra queste, 90 sono considerate democrazie effettive. Mai nella storia ci sono state tante democrazie come oggi, e mai questa forma d’organizzazione dello stato ha avuto tanti sostenitori. Eppure l’entusiasmo sta venendo meno. Lo stesso World Value Survey ha fatto notare che, nel mondo intero, il bisogno affermato di leader forti, “che non necessitino di tenere conto di elezioni o di un Parlamento”, è considerevolmente aumentato negli ultimi dieci anni e che, al contrario, la fiducia nei parlamenti, nei governi e nei partiti politici ha raggiunto un livello storicamente basso. È come se avessimo aderito all’idea della democrazia, ma non alla sua pratica, per lo meno non alla sua pratica attuale. (David Van Reybrouck, Contro le elezioni, Feltrinelli, 2015)
Negli anni sessanta, più dell’85 per cento degli europei partecipava alle elezioni. Negli anni novanta, questa cifra era inferiore al 79 per cento. Nel corso del primo decennio del Ventunesimo secolo è scesa addirittura sotto il 77 per cento, il livello più basso dalla Seconda guerra mondiale. In termini assoluti, si tratta di milioni di europei che non vogliono più andare alle urne. Rappresenteranno presto un quarto degli elettori. Negli Stati Uniti, la situazione è ancora più critica: alle elezioni presidenziali la partecipazione è inferiore al 60 per cento, a quelle intermedie si aggira addirittura intorno al 40 per cento. L’astensionismo sta diventando la principale corrente politica in Occidente, ma non se ne parla. (David Van Reybrouck, Contro le elezioni, Feltrinelli, 2015)
I lavori di James Fishkin hanno segnato una vera svolta deliberativa nelle scienze politiche. Nessun ricercatore serio mette oggi più in discussione il forte impulso che può apportare la democrazia deliberativa al corpo gravemente malato della democrazia rappresentativa elettiva. (...) Chiunque dubiti del fatto che dei cittadini comuni, tirati a sorte, siano capaci di prendere decisioni sensate e razionali, dovrebbe leggere questi rapporti. Le conclusioni di Fishkin sono ancora una volta confermate. (David Van Reybrouck, Contro le elezioni, Feltrinelli, 2015)
... molto semplice: o la politica spalanca le porte, o queste non tarderanno a essere sfondate da cittadini in collera che, scandendo slogan come No taxation without participation, sfasceranno la mobilia della democrazia, strapperanno il fregio del potere e lo trascineranno in piazza. Purtroppo non è una finzione. Nel momento in cui termino questo libro, l’Ong Transparency International pubblica il suo Global Corruption Barometer. I risultati sono semplicemente scioccanti. In tutto il mondo, i partiti politici sono annoverati tra le istituzioni più corrotte del pianeta. In pressoché tutte le democrazie occidentali sono al primo posto nella classifica della corruzione. Le cifre dell’Unione europea sono assolutamente drammatiche. (David Van Reybrouck, Contro le elezioni, Feltrinelli, 2015)
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