A metà degli anni 90 cominciava a girare, negli ambienti di chi si occupava di formazione e di sviluppo di persone e organizzazioni, un nuovo vocabolario, che alludeva a nuovi ruoli e funzioni.
Molti termini, come sempre accade, erano rubati al mondo anglosassone e il loro impiego, spesso, era superficiale e ambiguo.
A ciò si aggiungeva la solita 'pulsione' di marketing, che sempre spera di conquistare attenzione, e mercato, spingendo sulla novità delle parole anche indipendentemente dal loro contenuto.
Il risultato era una certa sovrapposizione e confusione di significati.
Questa tendenza è esplosa col tempo: ora è generale e tocca ogni campo.
Oggi i 'contenitori' prevalgono decisamente sui 'contenuti': pare sia fondamentale che i primi 'suonino' bene (è dagli anni 80 che l''estetica' vince sull''etica'). E comunque ciò che conta è che le parole (che poi formano il 'blabla corrente') siano, o appaiano essere, 'nuove'. Cosa poi davvero significhino è secondario.
Solo per fare un esempio: ormai i termini 'formazione', e 'formatore', sono stati rottamati. Tutto è (deve essere) 'coaching'. Anche quando non lo è. Perché 'coaching' è parola (creduta) nuova e formazione è parola (creduta) preistorica.
Questo 'pezzo', recuperato dal mio archivio, è del 1995.
E tenta di razionalizzare, con una mappa a forma di matrice, le funzioni di aiuto e orientamento che stavano entrando in campo in quel periodo.
E' stato pubblicato in un libro, ormai pressoché introvabile, a cura di Massimo Bellotto e Lucia Zago (vedi riferimenti in calce al testo) ed è la trascrizione di un intervento ad un corso di Psicologia dell'università di Padova; al temine riporta anche alcuni interventi degli studenti che chiedono chiarimenti e approfondimenti.
Ripropongo il documento nella sua forma originaria, perché forse, nonostante sia aumentata la chiarezza, i termini che qui costituiscono la mappa delle funzioni di aiuto continuano a girare, anche impropriamente, e l'argomento, mi pare, non ha perso una certa utilità. (mf)
Il tema dell'intervento
Molti termini, come sempre accade, erano rubati al mondo anglosassone e il loro impiego, spesso, era superficiale e ambiguo.
A ciò si aggiungeva la solita 'pulsione' di marketing, che sempre spera di conquistare attenzione, e mercato, spingendo sulla novità delle parole anche indipendentemente dal loro contenuto.
Il risultato era una certa sovrapposizione e confusione di significati.
Questa tendenza è esplosa col tempo: ora è generale e tocca ogni campo.
Oggi i 'contenitori' prevalgono decisamente sui 'contenuti': pare sia fondamentale che i primi 'suonino' bene (è dagli anni 80 che l''estetica' vince sull''etica'). E comunque ciò che conta è che le parole (che poi formano il 'blabla corrente') siano, o appaiano essere, 'nuove'. Cosa poi davvero significhino è secondario.
Solo per fare un esempio: ormai i termini 'formazione', e 'formatore', sono stati rottamati. Tutto è (deve essere) 'coaching'. Anche quando non lo è. Perché 'coaching' è parola (creduta) nuova e formazione è parola (creduta) preistorica.
Questo 'pezzo', recuperato dal mio archivio, è del 1995.
E tenta di razionalizzare, con una mappa a forma di matrice, le funzioni di aiuto e orientamento che stavano entrando in campo in quel periodo.
E' stato pubblicato in un libro, ormai pressoché introvabile, a cura di Massimo Bellotto e Lucia Zago (vedi riferimenti in calce al testo) ed è la trascrizione di un intervento ad un corso di Psicologia dell'università di Padova; al temine riporta anche alcuni interventi degli studenti che chiedono chiarimenti e approfondimenti.
Ripropongo il documento nella sua forma originaria, perché forse, nonostante sia aumentata la chiarezza, i termini che qui costituiscono la mappa delle funzioni di aiuto continuano a girare, anche impropriamente, e l'argomento, mi pare, non ha perso una certa utilità. (mf)
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Il tema dell'intervento
Obiettivo di questo intervento è quello di riuscire a mettere a fuoco la mappa dei ruoli e delle funzioni che, all'interno e all'esterno delle organizzazioni, si occupano in vario modo di prestare aiuto alle persone che agiscono dentro l'organizzazione, fornendo loro, anche con stili e contenuti differenti, indirizzo, supporto, consulenza.
Di questi ruoli, e di queste funzioni, si sta parlando molto: li si sta individuando con termini italiani, ma soprattutto stranieri. E la mia sensazione, suffragata peraltro da considerazioni scambiate con colleghi, è che stia girando, insieme con molte idee e stimoli positivi, anche molta confusione, dovuta talvolta a sovrapposizione o ridondanze di concetti e talaltra a fraintendimenti, voluti o inconsapevoli.
Il tentativo dunque è quello, innanzi tutto, di fornire qui un possibile quadro di riferimento: né prescrittivo né assolutamente definitorio, ma che proponga, secondo un punto di vista personale, una possibile classificazione di termini e di contenuti.
La mappa dei ruoli/funzioni di aiuto
Nella tavola che segue è disegnata la mappa di 11 ruoli o funzioni di aiuto (la distinzione tra ruolo e funzione suggerisce qui una differente pesatura del tempo investito: se l'attività non è prevalente, essa costituisce una funzione, mentre diviene un ruolo se l'esercizio è svolto in via esclusiva) .
Le figure prese in considerazione sono:
(1) - Counsellor
(2) - Mentore
(3) - Educatore
(4) - Sponsor
(5) - Tutor
(6) - Formatore
(7) - Consulente
(8) - Consigliere
(9) - Maestro
(10) - Insegnante
(11) - Coach
Uno sguardo di assieme
La mappa è rappresentata da una matrice, prodotta dall'intreccio di due dimensioni:
* in verticale, la dimensione considerata è quella del polo individuo/ruolo;
* in orizzontale, la dimensione ritenuta importante è quella del polo processo/contenuti.
Le due coppie di polarità indicate in matrice sono scandite da 3 tacche.
Per quanto riguarda la coppia individuo/ruolo, si immaginano 3 diversi campi di oggetto:
* quello esclusivamente privato (e quindi dell'individuo),
* quello esclusivamente professionale (e quindi del ruolo di cui l'individuo è titolare nell'organizzazione), e
* quello intermedio, in qualche modo misto privato/professionale.
* quello esclusivamente privato (e quindi dell'individuo),
* quello esclusivamente professionale (e quindi del ruolo di cui l'individuo è titolare nell'organizzazione), e
* quello intermedio, in qualche modo misto privato/professionale.
Invece, per quanto si riferisce alla coppia processo/contenuti, le 3 distinzioni si rifanno allo stile sostanziale con cui la figura di aiuto può giocare il suo ruolo:
* più sui contenuti da trasmettere (predefiniti e intoccabili), oppure
* più sul processo attivato (poco o non-direttivo).
* più sui contenuti da trasmettere (predefiniti e intoccabili), oppure
* più sul processo attivato (poco o non-direttivo).
Come si vede dalla tavola, le 11 figure di aiuto sono collocate in ognuno dei 9 quadranti in base alla loro radice originaria, ma 3 figure - coach, tutor e counsellor - sono immaginate fluide, e dunque in progressione verso quadranti contigui, a seconda del diverso grado di direttività - nel caso di coach e di tutor - o del possibile sconfinamento dal privato al mix privato/professionale - nel caso di counsellor.
Se guardiamo alla mappa nel suo insieme, possiamo innanzi tutto operare una prima grande distinzione:
7 figure svolgono un ruolo maggiormente di facilitazione, avendo in comune una direttività assente o comunque scarsa (sponsor, tutor, formatore, consulente, counsellor, mentore, educatore); e 4 figure, essenzialmente direttive, svolgono un ruolo più di indirizzo (insegnante, consigliere, coach, maestro).
In comune, tutte le 11 figure hanno almeno 3 caratteristiche, fondamentali per la persona cui viene prestato aiuto:
(a) - non sono neutre, ma esprimono tutte un colore, più o meno caldo, comunque mai freddo;
(b) - costituiscono tutte un chiaro e forte riferimento preciso, più o meno intenso, vissuto come significativo dal loro interlocutore (sono quindi da questo sicuramente legittimate);
(c) - forniscono tutte, anche se in vario grado, una spinta e un 'orientamento-verso' (fanno progredire) .
Una figura potrebbe a prima vista stonare fra le altre: quella di sponsor.
In effetti, è l'unica che ha una funzione non educativo-trasformativa, ma politica. La ragione del suo inserimento sta però nel fatto che, al pari delle altre, concorre a fornire un aiuto preciso: in questo caso legittimando dall'alto, con la forza della sua autorità, l'autorevolezza dell'aiutato, sostenendone, promuovendone e proteggendone gli sforzi di sviluppo autonomo. (Ovviamente, l'accezione pervertita di sponsor-padrino, peraltro trasferita in pratica in molta cultura para-mafiosa che conosciamo anche in Italia, appartiene ad un altro vocabolario, di cui qui non si sta parlando).
Prima di sintetizzare i tratti salienti di ogni figura di aiuto, soltanto un cenno alla relazione di aiuto e ai modi con cui essa può manifestarsi.
(a) - Una prima caratteristica è rappresentata dalla polarità verticalità/orizzontalità: che attiene in parte alla posizione strutturale oggettivamente occupata nella relazione di aiuto e in parte al tipo di meta-comunicazione instaurata dalla persona che intende aiutare.
(b) - Una seconda caratteristica, invece, è data dalla qualità specifica della relazione, che può assumere cinque configurazioni: politica, supportiva, attivativa, nutritiva, prescrittiva.
Troviamo così lo sponsor come unica figura verticale/politica.
Tutor, formatore, consulente e counsellor appaiono tipiche figure orizzontali, supportive le prime due e attivative le seconde due.
Mentore, educatore, maestro, insegnante, consigliere e coach condividono la verticalità, ma mentre mentore, educatore e maestro hanno in comune anche l'essere figure nutritive, insegnante e consigliere sembrano configurarsi più prescrittive e il coach maggiormente attivativo.
Ma vediamo più in dettaglio
* Formatore e tutor sono figure di facilitazione, orizzontali, supportive.
In comune, le due figure hanno il fatto di facilitare processi di apprendimento (il termine formatore, pure da sempre utilizzato in mancanza di un'alternativa più appropriata, continua a suonare ambiguo, perché fuorviante: rimanda ad un dar forma che ha poco a che fare con l'orizzontalità feconda di un processo di apprendi¬mento e richiama, se mai, la verticalità dell'insegnare, nel senso del lasciare un segno - anche se non c'è formazione senza segno lasciato). La distinzione tra le due figure è data dal fatto che il formatore lavora sia sui contenuti che sul processo: progetta e gestisce i pro¬cessi di apprendimento, erogando anche se del caso i contenuti, e comunque aiutando ad apprendere.
Il tutor lavora sul processo, più che sui contenuti: ha una funzione maggiormente organizzativa, 'mettendo-insieme', collegando, cucendo, aiutando a organizzare attività, persone, obiettivi, processi. E' una funzione nobile, anche se misconosciuta e tuttora bistrattata nella nostra cultura: assimilata troppo spesso a un intreccio tra uno steward e un'hostess, che all'interno di un programma di formazione, tra una registrazione e l'altra di vere o fantasticate note valutative segrete sui discenti, si occupa di distribuire l'acqua o di fotocopiare le dispense per i partecipanti. Nei progetti di formazione, invece, il tutor è - si dice - garante dei processi di apprendimento: il che significa che, oltre a mantenere annodato il filo rosso - degli obiettivi, dei contenuti, del clima, delle attese, dei differenti stili di docenza -, rappresenta la posizione istituzionale del progetto, chiamata a presidiare le finalità dichiarate e a difendere le esigenze di apprendimento dei discenti. Mentre al di fuori dell'aula, il tutor, ad esempio, può intervenire nel facilitare i processi di inserimento, specie dei giovani al primo impiego, progettandone i tempi e i modi e monitorandone l'attuazione.
* Consulente e counsellor sono entrambe figure di facilitazione, orizzontali e attivative: il loro contributo, cioè, è indirizzato a un agire, più o meno specifico, che modifica la situazione data, producendo cambiamento.
La differenza sta nel fatto che mentre il consulente ha una competenza specifica soprattutto di contenuto, e lavora infatti sul contenuto oltre che sul processo, il counsellor ha soprattutto un 'know how' di metodo, che lo porta a privilegiare il processo.
La differenza sta nel fatto che mentre il consulente ha una competenza specifica soprattutto di contenuto, e lavora infatti sul contenuto oltre che sul processo, il counsellor ha soprattutto un 'know how' di metodo, che lo porta a privilegiare il processo.
Il consulente, insomma, suggerisce, dà un parere, indica un'azione e un modo per realizzarla, aiutando se necessario l'interessato ad applicare la proposta; il counsellor, enfatizzando invece la relazione, esprime soprattutto capacità di ascolto attivo, ridefinendo situazioni e problemi e aiutando l'interlocutore a mobilitare le energie necessario per l'intervento suo diretto di cambiamento, possibilmente in chiave di sviluppo.
* Maestro e mentore sono figure, la prima più di indirizzo, la seconda più di facilitazione, verticali, nutritive e proiettive.
In comune hanno almeno 3 elementi:
(a) - una relazione assai intensa, intrisa di anima e di eros, e quindi capace di produrre identificazione;
In comune hanno almeno 3 elementi:
(a) - una relazione assai intensa, intrisa di anima e di eros, e quindi capace di produrre identificazione;
(b) - un sapere di vita, e di mestiere, capace di essere fonte di orientamento;
(c) - la capacità personale di dare, soprattutto attraverso la modalità dell'aiutare a scoprire.
Sono figure strutturalmente verticali - per la differenza di sapere che mostrano e, soprattutto, fanno intuire -, ma che, giocate genuinamente, dovrebbero privilegiare il 'codice fraterno', anziché 'paterno' (in particolare il mentore).
Se ambedue lavorano su contenuti e processo, il maestro comunque tende ad accentuare i contenuti, mentre il mentore il processo (questo spiega perché il maestro può anche sopportare un rapporto fisicamente lontano, al limite soltanto cartaceo, mentre il mentore, per essere tale, ha più bisogno di vicinanza fisica).
La loro nutritività è costituita dalla finalità intrinseca alla relazione stessa, che nasce per aiutare l'altro a crescere e ad essere nella maniera e nella forma che l'altro stesso saprà trovare.
(c) - la capacità personale di dare, soprattutto attraverso la modalità dell'aiutare a scoprire.
Sono figure strutturalmente verticali - per la differenza di sapere che mostrano e, soprattutto, fanno intuire -, ma che, giocate genuinamente, dovrebbero privilegiare il 'codice fraterno', anziché 'paterno' (in particolare il mentore).
Se ambedue lavorano su contenuti e processo, il maestro comunque tende ad accentuare i contenuti, mentre il mentore il processo (questo spiega perché il maestro può anche sopportare un rapporto fisicamente lontano, al limite soltanto cartaceo, mentre il mentore, per essere tale, ha più bisogno di vicinanza fisica).
La loro nutritività è costituita dalla finalità intrinseca alla relazione stessa, che nasce per aiutare l'altro a crescere e ad essere nella maniera e nella forma che l'altro stesso saprà trovare.
* Insegnante e consigliere sono figure di indirizzo, verticali e prescrittive.
Pur non escludendo il processo, entrambe privilegiano i contenuti, che trattano peraltro in modo poco problematico.
L'insegnante è qui colto nel suo aspetto prevalente di addestratore, ossia di persona che eroga un sapere certo, poco opinabile, intrinsecamente direttivo.
E il consigliere, inteso nell'accezione che qui si vuole impiegare, richiama il vecchio precettore: che più che 'e-ducare', indica, instrada, istruisce, dice cosa fare e controlla che quanto detto venga fatto.
Pur non escludendo il processo, entrambe privilegiano i contenuti, che trattano peraltro in modo poco problematico.
L'insegnante è qui colto nel suo aspetto prevalente di addestratore, ossia di persona che eroga un sapere certo, poco opinabile, intrinsecamente direttivo.
E il consigliere, inteso nell'accezione che qui si vuole impiegare, richiama il vecchio precettore: che più che 'e-ducare', indica, instrada, istruisce, dice cosa fare e controlla che quanto detto venga fatto.
* Il coach è figura di indirizzo, verticale, attivativa. Ha un sapere, per lo più pratico, da erogare e opera perché la persona cui presta aiuto sia messa operativamente in grado di apprendere e applicare quanto insegnato. Il suo contributo è sulla prestazione: fa in modo che l'allievo, opportunamente allenato, dia la prestazione richiesta. E' persona che affianca sul campo: fa fare e controlla il fare, dando suggerimenti e facendo vedere, praticamente, come fare meglio.
* Ultima figura in analisi è quella dell'educatore: di tipo verticale, nutritivo, di facilitazione, agisce fuori dalle organizzazioni di lavoro, soprattutto nelle fasi di 'pre-adultità'. La relazione che instaura è simile a quella del maestro o del mentore: assai colorata, capace di produrre forte identificazione, ha per finalità fondamentale quella di aiutare il giovane a diventare adulto, sviluppando appieno e in modo sano tutte le potenzialità interne. Ma a differenza di quanto accade per maestro e mentore, spesso si tratta di un ruolo assegnato, che sposa professionalità specifica a personalità intensa, particolarmente orientata a fornire sostegno e indirizzo a chi, come l'adolescente, si trova in una delle fasi critiche della vita che più spinge a interrogarsi sul domani.
In conclusione
In chiusura, possiamo aggiungere 2 notazioni.
* La prima riguarda alcune caratteristiche comuni che tutte le figure di aiuto, e in specie quelle di facilitazione, dovrebbero avere per svolgere appieno il proprio compito.
* La seconda fa riferimento al mondo delle organizzazioni di lavoro e alle tendenze in atto.
* La seconda fa riferimento al mondo delle organizzazioni di lavoro e alle tendenze in atto.
(1) - Esercitare ruoli o funzioni di facilitazione è attività quanto mai difficile, anche perché richiede tratti culturali - capacità, per lo più, ma anche attitudini o quanto meno atteggiamenti - poco diffusi nell'attuale cultura dominante. Ne cito alcuni: capacità di ascoltare attivamente l'altro (senza intervenire valutativamente, o immediatamente consigliando, magari a fin di bene); accettare l'altro per come egli è; voler mantenere aperto il rapporto anche in costanza di forti differenze di vedute; mantenere una capacità di distanza e neutralità di fronte alla situazione e alla persona che si intende aiutare, combinata con una forte empatia; capacità di leggere i segnali non verbali dei processi di comunicazione, cogliendo il non-detto come il detto spesso più genuino e determinate; capacità di capire e gestire le dinamiche interpersonali; capacità di ridefinire situazioni e problemi, orientando le energie inespresse verso obiettivi utili.
(2) - E' mia convinzione che le organizzazioni avranno sempre più necessità di dotarsi al proprio interno di persone e funzioni che sappiano giocare alcuni dei ruoli di cui qui si è parlato: per fornire chiarezze (orientamenti, indicazioni) - o, meglio, aiutare le persone a farsele - e sostegno alla crescita, sia professionale che personale. Non penso che questo debba significare consentire alle organizzazioni di invadere terreni che anche in fu¬turo sono convinto dovranno rimanere privati - il campo psicologico-esistenziale dei singoli, a mio parere, dovrà continuare ad essere esclusiva proprietà dei singoli; - ma sicuramente credo che le organizzazioni dovranno soddisfare un'esigenza oggi montante: quella di fornire alle persone più bussole, e. relativi strumenti, per capire dove e come crescere professionalmente e pe¬correre in modo meno spontaneistico e casuale i processi di apprendimento oggi non più limitabili ai momenti formali di formazione, scolastica e post.
Alcuni interventi dagli studenti...
Alcuni interventi dagli studenti...
[D: Vorrei che lei ritornasse alla distinzione 'verticalità/orizzontalità'. ..]
Riprendo quanto dicevo. Con questi due termini, voglio indicare due cose insieme: da un lato la posizione strutturale che può, in misura maggiore o minore, differenziare i due soggetti: chi aiuta e chi viene aiutato; e dall'altra, la particolare relazione che chi aiuta intende instaurare con chi viene aiutato (di dominio, di sudditanza, di interdipendenza.).
'Verticale' richiama una asimmetria strutturale: dire che qui dentro, ad esempio, siamo tutti uguali rispetto alle competenze che possediamo circa l'argomento che sto trattando significa negare un dato strutturale di realtà: esiste una differenza, su questo punto specifico, tra me e voi. E questo è un dato oggettivo di verticalità. Altro elemento che può aggiungere o diminuire verticalità è il modo con cui questa asimmetria di base viene gestita. E qui conta la 'meta-comunicazione' che io decido, più o meno consapevolmente, di avere con voi.
'Verticale' richiama una asimmetria strutturale: dire che qui dentro, ad esempio, siamo tutti uguali rispetto alle competenze che possediamo circa l'argomento che sto trattando significa negare un dato strutturale di realtà: esiste una differenza, su questo punto specifico, tra me e voi. E questo è un dato oggettivo di verticalità. Altro elemento che può aggiungere o diminuire verticalità è il modo con cui questa asimmetria di base viene gestita. E qui conta la 'meta-comunicazione' che io decido, più o meno consapevolmente, di avere con voi.
[D: La dimensione indicata in ascissa, rappresentata dalla coppia processo/contenuti, può avere una somiglianza con il rapporto che c'è tra orientamento alla relazione e orientamento ai compiti?]
Direi di sì. Quando parliamo di orientamento al processo, implicitamente connotiamo la qualità della relazione: che non può essere direttiva. La persona direttiva non gestisce il processo perché non è orientata alla relazione, ma a sé o ai contenuti. Anche perché essere orientati al processo significa essere capaci di destrutturarsi, o, meglio di adattarsi a situazioni non fisse, ma evolutive, quindi destrutturate.
[D: Mi interessava il suo commento al termine formatore...]
Dicendo che non mi piace il termine formatore, provocavo.
Occorre intendersi su quale forma il formatore deve dare e a chi/che cosa. A parte la battuta, notissima, sui troppi 'formattori' che girano facendo spettacolo più che apprendimento, si può 'conformare' e 'deformare': nel primo caso, si perpetua la vecchia storia della 'collusione', solitamente con la committenza (ma niente impedisce che la complicità sia invece con l'utenza); nel secondo caso, la deformazione si realizza tutte le volte in cui, ad esempio, si eroga una formazione distorcente, manipolatoria, oppure psicologicamente violenta.
E poi, la domanda importante è a chi si rivolge questa forma che cerchiamo di dare come formatori?
Perché, se il complemento oggetto è il discente, al di là del fatto che tecnicamente ciò sia possibile (per fortuna lo è sempre meno), rimane il rischio di una 'formazione top-down', imperialista, ideologica.
Allora, credo che la forma di cui si parla dovrebbe riguardare la realtà: quella fisica e quella astratta, delle idee, dei problemi, dei concetti.
Questo è il campo del formatore. E qui il suo intervento può essere utile: nel dare 'buona forma' all'indistinto, aiutando chi è meno esperto a orientarsi, a districarsi, a capire, facendo domande più ancora che pretendendo risposte.
Formare, allora, in questo senso significa proporre - e dare strumenti di pensiero per creare autonomamente - modelli, logiche, approcci, chiavi di lettura. Appunto, 'dare forma/forme'. Nulla a che vedere con le 'formule', accattivanti, sempre bramosamente attese, ma sicuramente truffaldine. Perché le 'alghe marine', con buona pace per chi continua a crederci, non servono per dimagrire, figuriamoci per apprendere.
E il formatore qui ha una responsabilità precisa: che consiste anche nel dovere di 'de-ludere'. Altrimenti, rimarrà soltanto uno slogan la dichiarazione di intenti di questi ultimi anni: passare, finalmente, dall'insegnamento all'apprendimento.
Occorre intendersi su quale forma il formatore deve dare e a chi/che cosa. A parte la battuta, notissima, sui troppi 'formattori' che girano facendo spettacolo più che apprendimento, si può 'conformare' e 'deformare': nel primo caso, si perpetua la vecchia storia della 'collusione', solitamente con la committenza (ma niente impedisce che la complicità sia invece con l'utenza); nel secondo caso, la deformazione si realizza tutte le volte in cui, ad esempio, si eroga una formazione distorcente, manipolatoria, oppure psicologicamente violenta.
E poi, la domanda importante è a chi si rivolge questa forma che cerchiamo di dare come formatori?
Perché, se il complemento oggetto è il discente, al di là del fatto che tecnicamente ciò sia possibile (per fortuna lo è sempre meno), rimane il rischio di una 'formazione top-down', imperialista, ideologica.
Allora, credo che la forma di cui si parla dovrebbe riguardare la realtà: quella fisica e quella astratta, delle idee, dei problemi, dei concetti.
Questo è il campo del formatore. E qui il suo intervento può essere utile: nel dare 'buona forma' all'indistinto, aiutando chi è meno esperto a orientarsi, a districarsi, a capire, facendo domande più ancora che pretendendo risposte.
Formare, allora, in questo senso significa proporre - e dare strumenti di pensiero per creare autonomamente - modelli, logiche, approcci, chiavi di lettura. Appunto, 'dare forma/forme'. Nulla a che vedere con le 'formule', accattivanti, sempre bramosamente attese, ma sicuramente truffaldine. Perché le 'alghe marine', con buona pace per chi continua a crederci, non servono per dimagrire, figuriamoci per apprendere.
E il formatore qui ha una responsabilità precisa: che consiste anche nel dovere di 'de-ludere'. Altrimenti, rimarrà soltanto uno slogan la dichiarazione di intenti di questi ultimi anni: passare, finalmente, dall'insegnamento all'apprendimento.
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