Avevo angoli acuti e perforanti:
che avrebbero voluto frangere
l'acciaio più infrangibile
per scoprire dall'altra parte del presente
la tenerezza di nuovi cieli
sotto cui rigenerare un mondo.
Speravo in me e in noi:
se tanti avessero ispessito e acuminato
i loro angoli
e insieme,
con la forza e la passione
di un'aspirazione collettiva,
avessimo cocciutamente provato
a spingere e spaccare
la gabbia spietata e soffocante di quell'oggi,
forse il nitore di un nuovo cielo,
finalmente terso di brezza,
sarebbe apparso a colorare il futuro.
Così non è stato.
E ora non sarà.
Da tempo sopravvivo quietato:
come tanti, quasi tutti.
Ritratti i pungiglioni
e smarrite le parole ormai solo piene di vuoto,
ci siamo allisciati come il sedere di un neonato
profumato di borotalco.
Non più l'aggressività penetrante
del triangolo:
solo la spossatezza placida e arresa
di un cerchio
che scivola leggero e indifferente
come palla di gomma
sulle ferite lancinanti
che sanguinano il mondo.
Dicono che anche da rassegnati
si vive.
Ma lo dice chi confonde
il vivere
con quel tirare avanti
che di fatto è solo una spinta coatta
a rotolare avanti.
E' anche per questo che non ci resta che
la mindfulness.
Rigorosamente auscultare il nostro ombelico
e dare nobiltà al sentiero
dell'indifferenza: socialmente
disgregante,
ma egoisticamente tanto
rassicurante.
E lieti ci crederemo salvi.
*** Massimo Ferrario, E lieti ci crederemo salvi, per Mixtura
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