Ho utilizzato diverse categorie per caratterizzare il populismo al potere: la faziosità, che nasce da una concezione proprietaria dei diritti e delle istituzioni; il maggioritarismo, che distorce il principio di maggioranza per identificarlo con il potere di una maggioranza; dux cum populo, che corrisponde alla rappresentanza come incorporazione; l’antipartitismo, che è la forza trainante dell’olismo popolarista. Per dirla con le parole di Montesquieu, ho attribuito alla rappresentanza diretta la «natura» del populismo e all’avversione all’establishment il suo «spirito». L’interazione di questi fattori genera il seguente fenomeno: l’autorità quasi assoluta del pubblico nel guidare il governo impegna il populismo al potere in una campagna elettorale permanente, che il leader e la sua maggioranza conducono per dimostrare che non sono – e non diventeranno mai – un nuovo establishment. Convincere il pubblico è fondamentale, poiché la fede è per il leader populista l’unica garanzia di tenuta del potere. Infine, Internet è lo strumento che può sostituire l’organizzazione di partito nella costruzione del potere populista, che ho pertanto presentato come una forma di governo rappresentativo funzionale alla «democrazia del pubblico». Non essendo un regime a tutti gli effetti, ma una trasformazione che si produce dentro la democrazia, il populismo al potere tende ad essere precario e soggetto a due rischi di deperimento: diventare una maggioranza come un’altra o tracimare in dittatura.
*** Nadia URBINATI, 1955, politologa, docente della Columbia University, Io, il popolo. Come il populismo trasforma la democrazia, Il Mulino, 2020.
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