L'essere umano è un animale feroce che ha cercato di autoaddomesticarsi con le religioni, con i moniti della sua terribile storia, con la filosofia, con la scienza, con la letteratura, con il nesso azzardato tra bontà e bellezza, con una regolamentazione tutta virile del conflitto, dal duello alla guerra. Ma fino ad ora il risultato è una forma diffusa di ipocrisia: la guerra, per esempio, prevede la punizione di crimini specifici definiti crimini di guerra, come se non fosse di per sé, per sua natura, un orribile crimine; i diritti umani, che dovrebbero essere pacificamente assodati, sono un campo permanente di battaglia, risultano di continuo o violati o difesi; lo Stato detiene il monopolio della violenza, ma innanzitutto non è vero e secondo è fin troppo evidente che di quel monopolio abusa: ampie porzioni della popolazione planetaria sanno di dover temere innanzitutto le forze dell'ordine costituito, persino lì dove le tradizioni democratiche sono robuste.
Estranee alla pratica della violenza non siamo nemmeno noi donne, questo va detto con forza. Però siamo così esposte da sempre a quella maschile, e siamo state così escluse dai modi secondo cui gli uomini l'hanno esercitata, che forse soltanto noi, oggi, possiamo trovare un modo non violento per bandirla per sempre. A meno che, confondendo emancipazione e cooptazione, non finiamo per consegnarci anche in questo campo alla tradizione maschile dell'aggressione, dello sterminio, della devastazione, facendo nostre al contempo le sue dotte giustificazioni e le sue regolamentazioni filistee.
*** Elena FERRANTE, 1943, scrittrice, dichiarazione a Muauia Al-abdulmagid, traduttrice per Dar al Adab, Libano, 'Robinson-Repubblica', 29 agosto 2020, qui.
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