Nella campagna inanimata
da stamani, domenica invernale,
sparano ininterrottamente.
Che uccideranno?
Discendo da una famiglia di cacciatori.
Mio padre stava fuori l'intero giorno
per riportare, a sera, una ghiandaia.
Tirava d'imbracciata
maledettamente bene.
Ma so che appena avuto l'animale
gli avrebbe reso vita volentieri.
Il suo non era gusto di uccidere
ma di cercare e scovare una preda.
Lo so ben io, che preda e ricerca
ho trasferito in parole ed immagini.
Devo a lui se ho conosciuto la selva
quando ancora esisteva e era possibile
ascoltarne l'inconscio respiro.
Ora non più. I boschi sono orti.
E l'istinto di uccidere si esercita
su passerotti dall'ali mozze
scampati a qualche tiro d'inesperto.
Non uccidete il cucùlo che segnala
il va e vieni della primavera
senza di che non so più orientarmi.
Non uccidete la tortora che cola
al molle filtro il grigio delle nuvole.
Non uccidete il merlo
ubriaco del mosto del crepuscolo.
Non uccidete la ghiandaia che tra nero
e bianco stringe al petto l'azzurro.
Non uccidete la lepre occhi e orecchi
spuntati sul sentiero.
Non uccidete la biscia d'erba viva
non sfrangete il piccolo cuore della lucertola
non uccidete la futile farfalla
né il ragno laborioso
né il rospo filosofo indifeso.
E se tutti questi sono morti?
Non avrete che larve
pei vostri fucili automatici.
*** Alessandro PARRONCHI, 1914-2007, poeta e storico dell'arte, Contro la caccia, da Replay, Garzanti, 1980, segnalato in 'ilcantodellesirene', 10 febbraio 2010, qui
Nessun commento:
Posta un commento