mostravo loro il cuore
e non desistevo finché le loro sillabe
non cominciavano a battere.
Mostravo loro gli alberi
e quelle che non volevano stormire
le impiccavo senza pietà, ai rami.
Alla fine, le parole
hanno dovuto somigliare a me
e al mondo.
Poi
ho preso me stesso,
mi sono appoggiato alle due rive
del fiume,
per mostrar loro un ponte,
un ponte tra il corno del toro e l’erba,
tra le stelle nere della luce e la terra,
tra la tempia della donna e la tempia dell’uomo,
lasciando circolare le parole sopra di me,
come auto da corsa, come treni elettrici,
solo perché arrivassero prima a destinazione,
solo per insegnare loro come si trasporta il mondo,
da se stesso
a se stesso.
*** Nichita STĂNESCU, 1933-1983, saggista e e poeta rumeno, Ars poetica, traduzione di Fulvio del Fabbro e Alessia Tondini, da Il diritto al tempo, 1965, in Nichita Stanescu, La guerra delle parole, Le Lettere, Firenze, 1999, segnalato in 'bibliotecafondazionebo', 6 novembre 2015, qui
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