Il grande e pericoloso bluff delle moderne organizzazioni del capitalismo di ultima generazione si nasconde nel loro uso di registri simbolici e motivazionali dello stesso tipo di quelli utilizzati in passato dalle fedi ma – e qui sta il punto – snaturandole e ridimensionandole radicalmente. Il nuovo capitalismo si è infatti accorto che senza attivare le motivazioni e i simboli più profondi dell’umano le persone non donano liberamente la loro parte migliore. Così chiedono molto, (quasi) tutto ai loro neo-assunti, chiedono un impegno di tempo, priorità, passioni, emozioni, che non può essere giustificato ricorrendo al solo registro del contratto e del (pur molto) denaro. Solo il registro religioso del “dono di sé” può spiegare che cosa viene chiesto e dato in queste relazioni di lavoro. Ma se l’impresa riconoscesse veramente tutto il “dono” che chiede ai suoi lavoratori, creerebbe dei legami comunitari (cum-munus: dono, obbligo reciproco) che in realtà non vuole perché quelle relazioni diventerebbero non più gestibili e controllabili. Così ci si ferma al riconoscimento delle dimensioni meno profonde e vere del dono di sé, e si fa di tutto per ricondurre ogni comportamento all’interno del dovuto e del contratto.
Nei primi anni, e finché i lavoratori-dirigenti sono giovani, questo gioco di promesse, aspettative, restituzioni di riconoscimento e attenzioni reciproca impresa-lavoratore funziona e produce una spirale crescente di impegno, risultati, gratificazione. Ma, col passare del tempo, questi investimenti affettivi e relazionali non riconosciuti si cumulano e diventano crediti emotivi, finché un giorno si capisce che non saranno mai saldati. Entra allora in crisi il cosiddetto “contratto narcisistico” originario, e le gratificazioni dei primi tempi si trasformano in delusione e frustrazione. Inizia la fase dell’insicurezza, della disistima, del sentirsi perdente, e presto il crollo dell’immagine del lavoratore ideale costruito fino ad allora. E presto arriva il burn-out. Si capisce che il gioco non è valso la candela della propria vita che nel frattempo si è consumata, a volte esaurita e spenta. E il gioco continua con altri giovani, che presto verranno rimpiazzati da altri – è impressionante il “consumo” di gioventù in queste organizzazioni, come negli eserciti e nei culti pagani.
*** Luigino BRUNI, 1966, economista, saggista, ordinario di economia politica alla Lumsa, Capitalismo infelice. Vita umana e religione del profitto, Giunti, 2018
In Mixtura ark #Mosquito qui
Lo sto leggendo, ed é una delle letture piú chiare, lineari e credibili di quelli che sono diventati i rapporti di forza all' interno del capitalismo del terzo millennio. Una nuova declinazione del Capitalismo,il quale é tuttaltro che un sistema in declino.
RispondiEliminaGrazie!!!
RispondiEliminaGrazie Luigino per questi ultimi tuoi testi: ho appena finito il libro di cui sopra e mi accingo a leggere Il Capitale Narrativo. Ho seguito anche il tuo consiglio è ho già sul comodino: Plant Revolutiion.
RispondiEliminaMarco De Angelis