da LinkedIn, 8 ottobre 2018, qui
Al di là dell'accento sulla 'e' del verbo essere, che è acuto e dovrebbe essere grave (e la cosa, lo so, disturba solo i pochi e trascurabili 'puristi' come me...), di veramente sbagliato mi pare essere lo slogan mostrato in immagine.
Per carità, è in linea con il pompaggio motivazionale attivistico-efficientista che da anni ci ossessiona, e quindi si potrebbe dire che la responsabilità di chi offre in foto all'obiettivo la frase (peraltro non proprio originale) sta solo nel subire l'influenza dei tempi.
Ma è anche vero che per non farsi trascinare dal vento facile e superficiale che ama prescriverci catechisticamente i comportamenti (è ancora l'one best way tayloriano che si ripete con monotonia quotidiana, nonostante sia passato oltre un secolo e nel frattempo si sia rivoluzionato il mondo), basterebbero una pausa (il contrario appunto dell'agire) e una riflessione. Due elementi che stonano con i pensierini mainstream, che invece piacciono perché fanno semplice il complesso.
Eppure, se attiviamo il cervello, ci arriviamo tutti. O quasi.
Anche senza recuperare suggestioni nobili e antiche, utili pure per chi come me non è credente (Ecclesiaste: "per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo"; e segue un lungo elenco di "c'è un tempo per... e c'è un tempo per..."), chi ha detto che "il momento migliore per agire è sempre adesso"? E se fosse domani, o tra una settimana, dopo aver analizzato meglio e aver meglio capito quale azione mettere in atto? E se, giusta l'azione che si vuole adottare, tatticamente fosse preferibile aspettare che al tempo cronologico si sostituisca il 'kairòs' del 'tempo opportuno'? Può essere il momento di attendere che gli eventi si chiariscano. Può essere il momento di mettere in discussione il dato che ci appare. Può essere il momento di approfondire l'analisi del problema. Può essere il momento di lasciar 'depositare' la situazione. Può essere il momento di far agire altri, o comunque di lasciare ad altri l'agire. Oppure (terribile ma vero) può essere il momento addirittura di decidere di non agire, né ora né mai.
Insomma: possono essere tanti altri i momenti che escludono l'agire imperioso (implicitamente quasi fallico e orgogliosamente maschio e virile) qui raccomandato.
Certo, uno potrebbe dire: anche il rimandare è un'azione, anche decidere di non agire è un agire.
L'obiezione, tuttavia, più che di intelligente ispirazione filosofica, in questo caso saprebbe di trucco per far tornare a qualunque costo lo slogan. Perché il messaggio qui trasmesso è chiaro e inconfondibile: siamo in occidente (non nella cultura orientale) e il mito positivo dell'agire operativo (fisico addirittura) ci avvolge come l'aria che respiriamo. E, purtroppo, non solo nei contesti di lavoro, che qualcuno peraltro continua a portare come esempio glorioso della trincea del fare.
E ciò è tanto vero che se pure si dice che 'anche decidere di non decidere è decidere', tuttavia l'esaltazione (perversa) della figura del decisionista è costruita addosso a chi prende una decisione immediata, attiva, visibile, concreta, soddisfacendo così l'urgenza di una conclusione che possa archiviare subito e in via definitiva la questione: mentre chi, anche con ragione, attende, indaga, analizza, problematizza e magari posticipa l'azione, con ragionamenti fondati, ad un momento migliore, passa per essere debole, imbelle, marchiato volgarmente, in quanto professional o, peggio, manager, come un cacasotto.
La cosa che comunque continua a colpirmi, anche se dovrei esservi ormai abituato, è il plauso che simili ricette continuano a raccogliere anche in social, come LinkedIn, che pure dovrebbero caratterizzarsi per competenza e razionalità di pensiero.
Evidentemente non ci vuole molto per suscitare la ola anche in chi pure dovrebbe avere titoli, e dunque armi (scolarità, cultura, professionalità), per non farsi accalappiare da facili parole d'ordine. E' vero, scivolano via come quelle, più dolci e rincuoranti, inserite nell'incarto dei cioccolatini; ma queste, proprio per la loro sbrigativa e seduttiva perentorietà, rischiano di portare ulteriore acqua al fiume, già gonfio, di un fare-fare-sempre-e-comunque. Che, se poco pensato, in fondo appare pure meglio.
*** Massimo Ferrario, Agire, ma anche no, per 'Mixtura'
In Mixtura ark #Spilli di Massimo Ferrario qui
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