venerdì 5 ottobre 2018

#MOSQUITO / L'insegnante balcanico (Gianmarco Perboni)

“Professore, mi scusi. Se non le è di disturbo, vorrei chiedere il permesso di uscire”. Detta da chiunque altro, una frase simile mi suonerebbe come una presa per i fondelli. Invece proviene da Smutkovic Dragan, da poco arrivato da un Paese che forse è l’Uzbekistan o magari l’Azerbaigian o vattelappesca, e so che è autentica. In una cosa ho ormai acquisito una certa esperienza. Quando arriva un nuovo extracomunitario (e ne arrivano a pioggia; di questo avrò occasione di riparlare, ci scommetto) so giudicare con buona approssimazione se e quanto abbia già frequentato scuole italiane. Il neofita tace, ascolta l’insegnante, non lo interrompe, parla solo se interrogato, chiede le cose per favore e addirittura (incredibile dictu) ringrazia. Occorrono dai tre ai cinque mesi perché si omologhi agli studenti italiani: chiassoso, disattento, invadente, maleducato e cafone. Il ruolo dell’insegnante potrebbe assomigliare a quello di un pastore che badi un gregge di pecore belanti, ma non è così. Il pastore ha il vantaggio del cane, che si occupa degli ovini recalcitranti. L’insegnante ne è privo, perché non può operare come il fortunato insegnante di un Paese balcanico. Al termine della lezione costui si metteva sulla porta e gli studenti uscivano uno a uno. Chi si era ben comportato poteva andarsene indenne, agli altri toccava di incassare una sonora sberla. In Italia la legge, incomprensibilmente, lo proibisce.

*** Gianmarco PERBONI, pseudonimo (di deamicisiana memoria) di un insegnante da 30 anni attivo nella scuola pubblica italiana, oggi docente di inglese in una scuola secondaria di provincia, 
Nuove perle a nuovi porci, Rizzoli, 2018.


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