Dopo il commiato della coppia ormai ufficialmente riconosciuta, il Txato, che aveva mangiato e bevuto per tre, fece la sua siesta? Ci provò. Bittori, indaffarata in cucina, non riusciva a calmarsi. Si confidava, madre monologante, madre addolorata, con la schiuma dell’acquaio. Suo figlio con quella donna, una semplice infermiera ausiliaria. Manifestò la propria contrarietà al pubblico composto da stoviglie sporche. Allo strofinaccio disse questo; al rubinetto quell’altro. Non riceveva risposte, non trovava la comprensione desiderata. Aveva bisogno a ogni costo di aver vicino orecchie umane. In casa, in quel momento, c’erano soltanto quelle del Txato. Allora, spiacente per la sua digestione e il suo riposo, entrò, quello era entrare?, be’, fece irruzione nella stanza. Parlava da sola già dalla cucina, asciugandosi le mani sul grembiule. Senza smettere di parlare si sedette sul bordo del letto. Diede uno scossone al marito.
«Come fai a dormire così tranquillo?»
Addio, siesta. Con la lingua assopita, farfugliò: cos’hai, che succede. Bittori non rispose. Non sembrava nemmeno interessata a conversare. Non cercava un interlocutore, soltanto delle orecchie.
«Non credo che Xabier possa essere felice con quella signora. Lei avrà tutte le virtù che vuoi. Io, per la verità, non gliene vedo da nessuna parte. Mi è sembrata una maniaca dalla testa ai piedi. I frutti di mare non li ha assaggiati. Il prosciutto, nemmeno. Ho passato tutta la mattina ad arrostire un maialino, sono andata a Pamplona a comprarlo, e alla fine viene fuori che è vegetariana. Dimmi tu.»
*** Fernando ARAMBURU, 1959, scrittore, poeta, saggista spagnolo, Patria, 2016, Guanda, 2017
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