sulla battigia quando la marea
si ritira e rimangono le arselle
a boccheggiare nella sabbia. Il rischio,
pensava, è di forare e dover spingere
la bici a mano col peso del bambino.
Erano troppo piccoli per chiedergli
di farla a piedi.
Lui pedalava pensando: verrà,
verrà prima o poi quella che chiamo
felicità e non so cosa sia
se non, immagino, sentirmi a mio agio
in questo corpo. Un surf
là davanti faceva una cosa sola
di una vela e di un uomo. Il primogenito
pensava alle navi. La mamma
pensava alla cena pedalando. L'ultimo nato,
nel suo seggiolino, accompagnava la corsa
come tutte le sere
gorgheggiando. Ancora non parlava. L'uomo,
inquieto, stupidamente, continuava a pensare
alla felicità, credeva d'avere solo dei pedali
sotto le suole.
Che cosa aveva sotto le suole,
sul manubrio e a destra, dalla parte del mare,
e là davanti, a pochi metri, fra i capelli
di quella giovane mamma
lo avrebbe capito solo molti anni dopo
provando a fare una poesia.
*** Sauro ALBISANI, 1956, poeta, Sulla felicità, da La valle delle visioni, Passigli, 2012, in 'ossigeno nascente', qui
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