Mi pare che lo 'storytelling' (inteso come narrazione della realtà) produca almeno due effetti.
Uno più perverso dell'altro.
(1) - Del primo ho detto più volte: vuol dire che 'ce la raccontiamo'.
E, soprattutto, che 'ce la raccontano'.
Cioè: apre un'autostrada infinita per la libera circolazione di panzane e patacche.
Panzane e patacche che oggi, nell'era del politicamente corretto sempre stigmatizzato anche da chi continua a farne uso, si chiamano eufemisticamente 'post-verità'.
Ma la truffa, per quanto sapientemente occultata, resta truffa.
E infatti è truffa continua.
(2) - Il secondo effetto, ancora più scellerato e diabolico perché assai più sottile e pressoché insuperabile, è che lo storytelling ammazza qualunque feedback: dunque qualunque risposta negativa arrivi da chi è stato oggetto della mia narrazione.
Cioè: se la mia idea, la mia proposta, il mio progetto impattano contro il muro della valutazione negativa degli altri, non ne ricavo che, 'forse', i contenuti che propongo sono sbagliati.
Neppure che gli altri non hanno capito nulla: come capitava una volta quando non si era 'democratici', si era rozzamente ignoranti di comunicazione e, con arroganza, non sapendo assumersi la responsabilità del nostro pensiero e delle nostre azioni, si scaricava tutto sui nostri interlocutori.
Oggi, più semplicemente (e impudentemente), si conclude soltanto che non sono stato convincente.
Cioè: non 'gliel'ho raccontata bene'.
Magari sono stato antipatico e devo esserlo meno.
Dunque i miei contenuti sono dogmaticamente salvi: gli altri non li hanno rifiutati.
Non glieli ho spiegati bene.
Conseguenza: migliorare lo 'storytelling'.
Aumentare le dosi di vaselina.
***Massimo Ferrario, Storytelling, e feedback, per Mixtura
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