Osservare il governo Gentiloni sarà come guardare la televisione con Renzi che tiene il telecomando. Però – anche se può spegnersi da un momento all’altro – non sottovalutiamo lo spettacolo dell’unico governo nella Galassia in cui il ministro dello Sport nominerà i vertici di Eni, per dirne una. Bizantinismi del potere renziano. Ma quello che è giusto è giusto e bisogna ringraziare il governo Gentiloni di una cosa: nel giro di poche ore ha fatto piazza pulita di tutte le retoriche puttanate che sentiamo da anni a proposito di “premiare il merito”.
Questa annosa questione di “premiare il merito” ci viene recitata in accorate novene, allarmati appelli e invocazioni ad ogni discorso pubblico. Il pippone didattico-darwinista che chi è bravo deve andare avanti, che il talento va premiato, che bisogna battersi con la vita come leoni nella savana, è un classico imperituro di un paese che è molto nepotista e molto ereditario. E’ una specie di regola, per cui più si parla di una cosa e meno la si pratica, vale per lo sport, per il sesso, e pure per il merito. Ora il nuovo governo mette un punto decisivo sulla questione: tutte fregnacce, si può essere molto mediocri ed essere premiati lo stesso. Si può cannare completamente il compito assegnato ed essere promossi con lode. Immaginate lo sconcerto di uno che va a scuola e si ritrova in classe, al primo banco, cocca della prof, quella biondina bocciata l’anno scorso con tutti quattro in pagella.
Grazie, grazie, grazie, finalmente cade il velo su quella assurda questione che per fare qualcosa bisogna saperla fare. E invece la nuova compagine ministeriale libera lo spirito ardimentoso che è in noi, e ognuno penserà: beh, se dopo il disastro causato a colpi di voucher e licenziamenti Poletti può fare ancora il ministro del lavoro, perché io non posso costruire un missile, aggiustare una caldaia, fondare una corrente pittorica?
Insomma, l’ascensore sociale è bloccato, le scale sono insaponate, ti fanno il bel discorsetto sul merito e sul meritarsi le cose. Dopo una giornata in cui ti sei fatto un merito così, vai a casa, accendi la tivù e vedi Marianna Madia, che ha appena preso quattro nella sua materia, che viene promossa e ri-giura da ministro. Di Maria Elena Boschi non serve quasi dire: la sua è una promozione clamorosa, un’incoronazione, una specie di giubileo in ode alla sconfitta. Come stappare lo spumante dopo Caporetto, come promuovere il comandante Schettino a capo della Marina, davvero incomprensibile. Con il che si capisce che non solo il merito (e vabbé), ma pure la sconfitta, personale, tecnica e politica, non c’entrano più nulla con l’essere promossi o bocciati. Se la signora Finocchiaro, che è stata relatrice al Senato di una riforma presa a ceffoni dagli italiani, giura come nuovo ministro delle riforme, allora vale tutto. E si spiega in un solo modo: le ruote hanno perso aderenza, si sbanda di brutto, la distanza tra quel che sente il paese e chi lo governa è così siderale, vertiginosa, incolmabile, che non basterà qualche trucchetto della narrazione. Chi si fosse addormentato sabato 3 dicembre e svegliato ieri, avrebbe detto: “Oh, cazzo, ha vinto il Sì, ma dov’è Matteo, manca solo lui”. Il giuramento del governo Premiare-il-merito, in quel meraviglioso salone quirinalizio, aveva questa volta un sapore di decadenza vera. Una solenne cerimonia, a Versailles, nell’estate del 1789, mentre fuori impazza lo scontento, la rabbia, il disamore. I vecchi notabili, i piccoli impiccioni di corte, le mezze figure che hanno potere vero, le contessine delle riforme bocciate che ancora guidano il minuetto. Matteo sta sul divano con il telecomando in mano. Guarda questo film in costume pronto a spegnere quando conviene a lui e di quelli fuori da Versailles chi se ne frega. Se ne faranno una ragione (cit).
*** Alessandro ROBECCHI, giornalista e scrittore, Con la meritocrazia abbiamo scherzato: vince chi fa cazzate, 'Il Fatto Quotidiano', 14 dicembre 2016, qui
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