Marco MONTEMAGNO, imprenditore, public speaker
(dal web, via linkedin)
Diteglielo ai tanti giovani disoccupati in cerca di lavoro.
Basta che diventino «le persone più competenti, più capaci, che siano in grado di aggiungere più valore di chiunque altro...» e il lavoro, magicamente, apparirà.
Non lo devono cercare.
Come crearsi le competenze (per giunta le migliori sul campo) senza aver mai visto un lavoro perché si è pervicacemente disoccupati nonostante si provi di tutto per non esserlo, oppure si trovino soltanto dei mcjob ultra-precari e talmente cretini che non ti insegnano nulla perché sei tu che devi insegnare loro tutto, è un mistero glorioso che senz'altro Montemagno è in grado di spiegare.
Eppure, su linkedin, questa frase è piaciuta.
Ed è stata pure inserita da una giovane che si qualifica 'in cerca di lavoro'.
Come mai?
Provo a interrogarmi.
Forse masochismo? Forse, al solito e come quasi sempre, scarso 'pensiero critico'?
Anche.
Ma forse, più probabilmente, sono gli effetti di un (malinteso) inno quotidiano al 'selfempowerment': che agisce anche se non sappiamo cos'è, perché ci viene indotto dai valori correnti di una società in cui politici, istituzioni, imprenditori ed esperti di lavoro si deresponsabilizzano rispetto al ruolo che dovrebbero giocare e trovano comodo scaricare sui singoli individui la loro ignavia.
Colpevolizzandoli (ma loro dicono 'responsabilizzandoli'), o perché sono troppo choosy (che in italiano vorrebbe dire schizzinosi, ma in inglese, secondo Fornero e company, fa più fino), o perché non si danno da fare abbastanza nell'essere imprenditori-di-se-stessi e trovarsi il lavoro-che-non-c'è.
Naturalmente in questo processo di scarico, intellettualmente poco onesto, un aiuto non indifferente viene da troppi psicantropi più o meno amerikanoidi: o inconsapevoli di essere fan di una psicologia diventata psicologismo, o complici in vario grado della manipolazione cui prendono parte.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
Caro Massimo,
RispondiEliminami occupo di questi temi da alcuni anni seguendo diversi corsi di formazione per disoccupati e devo dire che il tema è davvero delicato: è facile, come dici tu, per gli esperti del lavoro deresponsabilizzarsi rispetto al ruolo che dovrebbero giocare e e scaricare sui singoli individui la loro ignavia (spesso è così), dall’altra parte in molte persone alla ricerca del lavoro c’è ancora la convinzione che il lavoro sia legato al titolo di studio o hanno aspettative al di fuori della realtà.
Condivido la critica ai troppi psicantropi più o meno amerikanoidi in cui passa il messaggio: se sei disoccupato la colpa è tua che non tu dai da fare. E quindi per il disoccupato il messaggio è devastante. Ma in aula o durante il tirocinio vedi tanti disoccupati che si bruciano occasioni per pretese difficili da giustificare: dal pizzaiolo che si rifiuta di scaricare il camion con la legna per il forno (lui è un pizzaiolo, non addetto allo scarico merci!), dal contabile che si lamenta perché dopo una settimana di tirocinio non gli hanno ancora fatto fare niente di contabilità ma solo “segreteria”.
Poi c’è il caso di un addetto al montaggio che durante il tirocinio aveva poco da fare e si è messo lavare i vetri dell’ azienda che lo ospitava. Da solo, senza che nessuno glielo avesse detto. L’azienda che non pensava di assumerlo, al termine del tirocinio gli ha fatto un contratto.
Ecco il tema è difficile perché sono vere entrambe le cose: è vero sia che ci sono persone molto competenti disoccupate (e i corsi per disoccupati sono sempre più frequentati anche da laureati), però è anche vero che alcune possibilità ci sono e una certa pro-attività può fare la differenza. Tenere insieme le due cose, responsabilizzando senza colpevolizzare, non è facile ma penso sia fondamentale. Come dici anche tu sul tema della formazione… è vero che è il docente ad avere la maggiore responsabilità ma anche il discente non può chiamarsi fuori dalle relazione. E anche nel lavoro c’è una situazione simile: pur sapendo che il lavoro è poco e non serve molto avere una mappa per cercare un tesoro che non c’è, ogni disoccupato ha anche un piccolo potere, un piccolo spazio di responsabilità sui cui poter lavorare. Non basta per far apparire magicamente il lavoro, ma può favorire le condizioni perché qualcosa accada.
Per la ricerca del lavoro per esempio si parla tanto di orientamento: ma a mio avviso il tema non è tanto trovare la strada giusta o saper scegliere tra le varie strade. Il fatto è che le strade non ci sono più, si tratta di “orientarsi” come ci si orienterebbe in un deserto o in mezzo al mare dove non ci sono sentieri già segnati, ma ognun prova a crearsi la sua strada.
Da questo punto di vista condivido la frase di Montemagno in cui lavoro non è qualcosa che si cerca, ma se fosse qualcosa di già dato, che è la fuori e ti aspetta (come era negli anni 50-60 dove ogni diplomato o laureato aveva il lavoro già pronto e doveva solo scegliere), ma richiede un minimo di attivazione. Da qui ad affermare che “a quel punto il lavoro magicamente appare”, è palesemente falso, oltre che pericoloso, ma mi pare importante salvare almeno la prima parte della riflessione.
Stefano, apprezzo in pieno il tuo commento: calibrato ed equilibrato.
RispondiEliminaA conferma che quando la realtà è complessa, non la si risolve con battute facili e ad effetto, ma considerando prima tutti punti della questione.
Ripeto sempre che la realtà è 'ossimorica': fatta cioè per il 99% di et-et, e quasi mai di polarità opposte e separate di tipo bianco-nero, bene-male.
Per questo i Montemagno mi infastidiscono.
Sempre che la frase di cui stiamo discutendo sia ascrivibile davvero a lui e sia riportata correttamente.
Grazie del tuo intervento.