«Ghiaccerà l’inferno prima che qui mettan piede i sindacati», ha detto l’ad di Ryanair Michael O’Leary. Lo ripete da anni. Al punto che, come ricordava l’altro giorno «il manifesto», quando nel 2016 Ryanair fu convocata al ministero dei Trasporti, la prima volta, per discutere di rispetto della tutela delle maternità e delle normative sulla sicurezza, la compagnia «rispose con una lettera in cui annunciava che non si sarebbe presentata al tavolo semplicemente perché “non riconosceva le organizzazioni sindacali”». (...)
Ma possiamo accettare contratti come quelli imposti dal becero «caporalato 4.0» del miliardario irlandese? Alla Ryanair «circa il 70% della forza lavoro piloti lavora a cottimo, non è assunta dalla compagnia ma tramite agenzie interinali, inglesi o italiane, e lavora per ore di volo. Non ha uno stipendio base, non ha ferie pagate, non ha la tredicesima, non ha la malattia pagata», ha spiegato all’Ansa un ex pilota della compagnia irlandese, «L’altro 30% è invece assunto da Ryanair ma con un contratto irlandese, nonostante viva e lavori in Italia». Perfino le divise (360 euro) sono pagate a rate dal lavoratore. Nel 2015 al sindaco di Copenhagen che aveva vietato ai collaboratori di volare con la compagnia irlandese proprio perché offeso da questi esempi di sfruttamento, Ryanair rispose via Twitter con un fotomontaggio dove il sindaco agghindato da Maria Antonietta diceva: «Facciamo pagare loro biglietti più cari!» Se è per questo, i voli sarebbero ancora più economici e O’Leary ancora più ricco se fosse ancora in vigore la schiavitù o la servitù della gleba, abolita in Russia con tale ritardo che gli ex-servi nell’Armata rossa furono 48 milioni. Una sola risposta meriterebbe, questo caporalato turbo-liberista: «Ghiaccerà l’inferno prima che prenda, se proprio non c’è nessunissima alternativa, un altro volo Ryanair».
*** Gian Antonio STELLA, giornalista e saggista, Il caso Ryanair e il neo-caporalato, 'Corriere della Sera', 26 settembre 2017
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