mercoledì 27 settembre 2017

#SENZA_TAGLI / Università, concorsi truccati e mediocrazia (Sergio Rizzo)

A non voler imparare le lezioni sono proprio coloro che dovrebbero darne: i professori. Suggerisce questo la storia che arriva da Firenze, dove un ricercatore ha denunciato di essere stato persuaso a non partecipare a una prova per l’idoneità a professore il cui vincitore, ovviamente meno bravo, era stato già designato. Dai concorsi truccati al nepotismo dilagante, la corporazione dei baroni ha dovuto fare i conti con scandali tali da mettere non di rado in discussione la credibilità delle stesse istituzioni universitarie. Ma la reazione non è stata ovunque all’altezza della gravità della situazione. A ogni misura per fare piazza pulita di certe pratiche indecenti, c’è anzi chi ha risposto con meccanismi per aggirarla affinché tutto restasse come prima.

Il governo approva una norma che vieta ai parenti l’assunzione di incarichi di docenza nelle stesse facoltà dove insegnano i loro congiunti? Niente paura, si inventa il metodo dello scambio di parentele: tu assumi il figlio mio e io assumo il figlio tuo. Non più tardi di un anno fa Raffaele Cantone ha raccontato che in una università meridionale «è stata istituita una cattedra di Storia greca in una facoltà giuridica e una cattedra di Istituzioni di diritto pubblico in una facoltà letteraria». Affidate rispettivamente, sarà un caso, ai figli dei docenti dell’altra facoltà. E fosse un caso isolato. Di denunce simili all’Autorità anticorruzione ne arrivano a bizzeffe. Tanto da far dire al suo presidente: «Esiste un collegamento enorme fra la corruzione e la fuga dei cervelli».

Ancora. Si stabilisce finalmente il criterio dei concorsi unici nazionali per le abilitazioni, nel tentativo di arginare le raccomandazioni? Niente paura, il sistema continua a funzionare esattamente allo stesso modo. Con la differenza, in più, di regalarci figuracce planetarie. Ne sanno qualcosa l’ex premier Matteo Renzi e l’ex ministra dell’Istruzione Stefania Giannini. Tre anni e mezzo fa ricevettero una lettera ustionante nella quale 12 luminari internazionali, fra cui il premio Nobel per l’economia Douglass North, si lamentavano che al concorso per l’abilitazione di storia economica erano stati esclusi inspiegabilmente tre nostri brillanti studiosi “ben noti fuori dall’Italia” per far posto ad altrettanti mediocri. Il sito lavoce.info si prese la briga di mettere in fila i titoli e le pubblicazioni di Mark Dincecco, Giovanni Vecchi e Alessandro Nuvolari, scoprendo che il loro numero era inarrivabile non soltanto per chi era stato proclamato idoneo al posto loro, ma anche per gli stessi commissari che li avevano valutati insufficienti. Un ricorso al Tar avrebbe riconosciuto dopo ben due anni le loro evidenti ragioni. Ma nonostante gli ex esclusi siano potenzialmente ingaggiabili dallo scorso 10 gennaio, nessuno li ha ancora chiamati, quei rompiscatole. Perché tali devono essere considerati in un mondo con regole proprie che si sovrappongono alle leggi, dove il merito e le capacità passano in secondo piano rispetto allo spessore delle relazioni, alla capacità di negoziare favori, agli interessi personali.

Tutto questo è molto triste, soprattutto pensando che le università sono l’incubatore del progresso sociale in tutti i Paesi avanzati. Dove forse non mancano le baronie, ma nessuna commissione d’esame si sognerebbe mai di dare la patente di professore ordinario a Tizio o Caio indipendentemente dalle sue qualità e soltanto perché amico, sodale o parente. Troppo importante è l’università, ovunque, per essere ridotta alla stregua di un mercato che funziona sullo scambio di favori a seconda delle rispettive convenienze perché da lì scaturiscono incarichi, denaro, potere. Perdendo di vista la missione e il ruolo dell’insegnamento accademico in una società che voglia definirsi sviluppata.
Ed è sconcertante l’indifferenza per le conseguenze che hanno certi comportamenti da parte di chi ha l’incarico di formare la futura classe dirigente. A cominciare dal danno alla reputazione dell’università italiana che si ripercuote sull’immagine del Paese. Per continuare con l’emigrazione dei più bravi, costretti da questo sistema a lasciare il posto ai brocchi. I quali a loro volta non potranno che crearne degli altri. E altri ancora, a maggior gloria della mediocrazia.

*** Sergio RIZZO, giornalista e saggista, 'facebook', 26 settembre 2017, qui


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