martedì 19 settembre 2017

#LIBRI PREZIOSI / "Maestra, che ne sarà di me?", di Angela Maria Borello (recensione di M. Ferrario)

Angela Maria BORELLO
"Maestra, che ne sarà di me? La parola ai bambini"
Sonzogno, 2015-2017
pagine 268, € 16,50, ebook € 9,99

Quando i bambini insegnano agli adulti
Angela Maria Borello, direttrice didattica di una scuola paritaria torinese da quasi quarant'anni, ha scritto un libro non prezioso, ma preziosissimo: perché riesce a farci entrare, in modo diretto e senza  le solite elucubrazioni teoriche degli adulti che cercano di 'spiegare' i bambini a chi non lo è più, nel mondo vivo, genuino, fresco e 'saporito' dei nostri piccoli. 

E' un risultato che ottiene mettendosi di lato e limitandosi a fornire qualche annotazione, peraltro puntuale e mai banale, che fa da (leggero) filo conduttore ai vari capitoli in cui sono state racchiuse le età dei protagonisti (dai 2 ai 3 anni, dai 3 ai 4, dai 4 ai 5, dai 5 ai 6). 
Perché i veri autori di questo volumetto, che è un piccolo tesoro di apprendimento per chi vuole apprendere, sono i piccoli: quelli che Borello segue nella sua attività pedagogica, nella quotidianità della scuola materna e durante i 'soggiorni-vacanze'. Sono le loro riflessioni e le loro emozioni, spesso tradotte in battute fulminanti che ti lasciano senza fiato per la inoppugnabilità della logica e la schiettezza della creatività, che occupano il 95% del testo. Ed è un inesauribile, gustoso, intelligente divertimento per chi legge: anche quando, talvolta, il sorriso si stempera e lascia il posto a qualche 'sana' (augurabile) ruga momentanea, prodotta da battute con cui i bambini, nella loro disarmante franchezza, rivelano situazioni familiari amare, che mettono in gioco la responsabilità di noi adulti.

Sono pagine che catturano: si leggono in un baleno, ma si meditano (e si dovrebbero rimeditare) a lungo. Ci rituffano in un mondo in cui siamo stati, ma che abbiamo dimenticato: ed è un ritorno all'indietro benefico almeno per due motivi. 
Il primo, fondamentale, è che abbiamo lo spunto, qui quanto mai documentato e sollecitato, per dare una dritta ai nostri comportamenti e alle nostre relazioni, troppo spesso superficiali, frettolose, distratte, con i nostri piccoli: recuperando quella qualità di presenza che sola ci fa 'essere davvero' e ci rende consci del ruolo cruciale che abbiamo, producendo fatti e non solo parole, nel 'fissare' valori e favorire orientamenti. 
La seconda ragione, più egoistica, sta nel ritrovare energia e speranza verso il futuro. Perché i nuovi adulti comincino ad essere adulti almeno un po' diversi dagli attuali che noi siamo. E non si debba più dire, con un velo di malinconico pessimismo, dopo aver guardato con tenerezza e affetto un bambino che ci affascina e stupisce nella sua fase di sviluppo (per la curiosità, l'intelligenza, la vivacità, la sincerità, la logica che sa esprimere: in sintesi, per l'insegnamento che sa darci), che 'sì, però è un peccato che poi cresca e diventi grande'.

Un ultimo doveroso grazie, troppo spesso dimenticato, va a chi, come la Borello (che conosco solo ora attraverso il suo libro), in tante scuole materne opera con competenza e passione per creare le condizioni, didattiche e pedagogiche, affinché i nostri piccoli siano i bambini che qui appaiono: liberi, sereni, arguti, autentici.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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da: Angela Maria BORELLO, "Maestra, che ne sarà di me? La parola ai bambini", Sonzogno, 2017

«Lo sai che ti voglio tanto bene alla faccia?» «Grazie! E perché?» «Perché lì ci sono gli occhi che mi guardano!» Federica, 2 anni 

«Sei contenta che ti è nato un fratellino?» «Sì, però glielo dici tu a mia mamma che poi basta?» Margherita, 2 anni

«Maestra, lo sai che c’ho tre fidanzati?» «Davvero?» «Sì, e lo sai come si chiamano?» «No.» «Allora, uno si chiama Pietro ed è bellissimo, uno si chiama Giosuè, ma lui lo voglio solo certe volte e l’altro non lo conosci, perché non viene neanche in questa scuola e io adesso non mi ricordo neanche come si chiama, ma è il mio fidanzato.» «E loro lo sanno?» «Nooo! Che dici? Mica le devono sapere queste cose i maschi, sono cose nostre tra noi femmine!» Giada, 3 anni

«Maestra, secondo te chi vale di più tra i maschi e le femmine?» «Io penso che ognuno vale per quello che è.» «Per me i maschi, e lo sai perché? Perché noi ci abbiamo il pisello e le femmine no. E ce lo vorrebbero pure avere ma a loro non gli cresce, me l’ha detto mia sorella che alle femmine non ci cresce, e avere il pisello è bellissimo!» Gabriele, 3 anni

«Maestra, lo sai che oggi la scuola è proprio bella?» «Grazie, ma è proprio come ieri.» «Sì, ma ieri io non lo avevo capito.» Greta, 3 anni

«Maestra, ma qui posso piangere tranquillo?» «Sì.» «Grazie, perché a casa mia non mi lasciano, sai… loro non sono capaci a lasciar piangere un bambino. Si preoccupano, loro.» Alessandro, 3 anni

«Perché piangi sempre al mattino quando arrivi?» «Guarda che tu devi stare tranquilla, poi mi passa. È per mia mamma, mica per voi. Appena va via smetto, te ne sei accorta, no?» Giulia, 3 anni

«Maestra, lo sai che mio papà e mia mamma litigano per il mio ciuccio?» «Perché?» «Perché il mio papà vuole togliermelo e lei invece non è capace di togliermelo.» «Non puoi togliertelo da solo?» «Macché! Se non è capace mia mamma, devo essere capace io?» Emanuele, 4 anni

«Maestra, ti devo dire una cosa.» «Dimmi!» «Ho capito che dare è più bello che ricevere.» «Davvero?» «Eh sì! E sai come l’ho capito?» «No.» «Vedi, io ho un gioco che è il mio preferito, no? Allora io questo gioco non lo volevo mai dare a nessuno, no? E poi tutti me lo chiedevano, me lo chiedevano e io, che noia, non lo volevo mai dare a nessuno. Poi è venuta Federica che mi ha chiesto se la volevo fare amica e allora ci siamo fatte amiche e abbiamo cominciato a giocare assieme e poi a un certo momento io le ho chiesto se voleva tenere il mio gioco e lei ha detto di sì e lo ha preso tutta contenta. E io ero così contenta che era contenta che eravamo così contente tutte e due che poi ridevamo come pazze. [si dondola ridendo ancora] Che ridere! [si siede a ricordare sorridendo] E adesso siamo amiche per sempre. Ciao!» Se ne va. Giulia, 4 anni

«Maestra, potresti dirci una cosa a mia mamma e mio papà? Siccome che loro dicono che si vogliono separare perché non vanno d’accordo, non puoi dirci che per andare d’accordo basta che non litigano ma parlano e fanno la pace? Non puoi dircelo tu come ce lo dici a noi che ci fai fare sempre la pace dopo e noi siamo ancora più contenti? [silenzio] Separare, e poi? E io dove vado? Mi possono separare a me?» «Eh, a volte i grandi non sanno andare d’accordo fra di loro.» «Ah, ma allora lo sai? Te lo hanno detto loro che vogliono separarsi?» «No, volevo dire che ti capisco, non sei l’unico a cui succede.» «Eh, lo so, non me lo dire a me… [sospira] ’Sti grandi, a noi ci dicono che dobbiamo fare la pace e loro litigano sempre e non sanno nemmeno fare la pace, noi bambini almeno quella la sappiamo fare! Maestra, ce lo dici tu che non è una cosa bella questa storia della separazione?» L., 4 anni

«Maestra, io certe volte vorrei dire a mamma e papà che ho paura a fare una cosa, per esempio a venire al soggiorno, ma se glielo dico loro dicono: “Va bene e allora non vai”, e così non mi mandano come hanno fatto con mia sorella che poi si è pure pentita. Io voglio dire che ho paura, ma voglio anche che mi dicano: “Guarda che ce la puoi fare” e mi mandano. Maestra, io voglio che credano che io ce la posso fare, così ce la faccio di sicuro.» Filippo, 4 anni

«Lo sai che alla recita c’ho detto a mio papà se mi aveva fatto le foto, ma lui si è arrabbiato e ha detto: “Ah, mi volevi solo per fare le foto?” Ma io volevo dire se mi aveva guardato. Maestra, ci sono rimasto così male che sono stato zitto.» L., 5 anni

«Maestra, lo sai che ieri sera il papà ha dato uno spintone alla mamma e l’ha buttata per terra e poi l’ha lasciata lì e se ne è andato? E io ero lì e non sapevo cosa fare e allora piangevo.» «Bravo! Hai fatto bene a piangere.» «Eh sì, ma adesso pensi che litigano di nuovo così? Io ce lo voglio dire che ho avuto tanta paura e che noi bambini non le dobbiamo vedere certe cose, siamo troppo piccoli. Glielo dici tu che non lo devono più fare? Se glielo dici tu ti ascoltano perché a te ti ascoltano tutti, io da solo non ce la faccio.» Mi dà una pacca sulla spalla e se ne va. C., 5 anni
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