Ciò che ci turba non è il veder circolare di nuovo per le piazze queste facce note: il pericolo non è lì; non saranno i vecchi fascisti che rifaranno il fascismo. Che tornino in libertà i torturatori e i collaborazionisti e i razziatori può essere una incresciosa necessità di pacificazione che non cancella il disgusto: talvolta il perdono è una forma superiore di disprezzo.
No, il pericolo non è in loro: è negli altri, è in noi: in questa facilità di oblio, in questo rifiuto di trarre le conseguenze logiche della esperienza sofferta, in questo riattaccarsi con pigra nostalgia alle comode e cieche viltà del passato.
Oggi le persone benpensanti, questa classe intelligente così sprovvista di intelligenza, cambiano discorso infastidite quando sentono parlar di antifascismo: e se qualcuno ricorda che i tedeschi non erano agnelli, fanno una smorfia di tedio, come a sentir vecchi motivi di propaganda a cui nessuno più crede. I partigiani? Una forma di banditismo. I comitati di liberazione? Un trucco dell’esarchia. I processi dei generali collaborazionisti si risolvono in trionfi degli imputati. I grandi giornali si affrettano a riaprire le terze pagine alle grandi firme, care ai lettori borghesi: dieci anni fa celebravano l’impero e la guerra a fianco della grande alleata, oggi scrivono collo stesso stile requisitorie contro la pace spietata; e il pubblico si compiace di questi elzeviri ritrovati e non si accorge che questa pace è la conseguenza di quella guerra. Finita e dimenticata la resistenza, tornano di moda gli «scrittori della desistenza»: e tra poco reclameranno a buon diritto cattedre e accademie.
Sono questi i segni dell’antica malattia. E nei migliori, di fronte a questo rigurgito, rinasce il disgusto: la sfiducia nella libertà, il desiderio di appartarsi, di lasciare la politica ai politicanti. Questo è il pericoloso stato d’animo che ognuno di noi deve sorvegliare e combattere, prima che negli altri, in se stesso: se io mi sorprendo a dubitare che i morti siano morti invano, che gli ideali per cui son morti fossero stolte illusioni, io porto con questo dubbio il mio contributo alla rinascita del fascismo.
*** Piero CALAMANDREI, 1889-1956, politico, avvocato, accademico, 'Desistenza', 'Il Ponte', ottobre 1946 in Piero Calamandrei, Lo Stato siamo noi, Chiarelettere, 2011.
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