(dal web, via linkedin)
La vita comincia
alla fine della vostra zona di conforto
alla fine della vostra zona di conforto
Ma perché un'affermazione tanto apodittica?
Assoluta?
Fondamentalista?
C'è un solo modo di vivere?
Dopo tutti gli inni alla varietà, alla pluralità, alla differenza, siamo tornati all 'one best way' di tayloriana memoria?
Ma chi ha stabilito che se si vive tranquilli, entro i nostri limiti, senza necessariamente sempre sfidarli, sforzarli, oltrepassarli in obbedienza all''ideologia 'no limits' dell'uomo-che-non-deve-chiedere-mai o del maschio che si spruzza sotto le ascelle ogni mattina la sua dose di arrogance-pour-homme per competere e vincere la sua gara quotidiana che quotidianamente lo intossica, anche questa non sia vita?
Ci rendiamo conto dei messaggi che ci vengono propinati?
Io non ce l'ho con chi ama uscire dalla sua zona di conforto: un'espressione della psicologia comportamentale americana che, tanto per cambiare, abbiamo fatto subito supinamente nostra.
Ma vorrei non essere colpevolizzato se io, il mio comfort, me lo tengo. Ci sto dentro. Magari, in qualche momento, me lo coccolo anche.
Oppure magari, ogni tanto, ne esco fuori. Non per fare l'eroe, ma per provare a vedere, con calma e tranquillità, anche questo lato del vivere.
Quando lo dico io, però, e non quando mi arriva il messaggio-superominico-che-parla-inglese e che di fatto mi insulta: se non so andare oltre, sono un poverocristo sfigato. Che non sa vivere: soltanto miserevolmente sopravvivere.
E' grave pensarla così? Sono irrecuperabile?
No, non mi iscrivo alla setta dei vincenti. Neppure al club dei perdenti: che si piangono addosso in compagnia di Calimero, il pulcino nero.
Non ci sto a questo ennesimo aut-aut.
La vita li comprende tutti, gli aut-aut.
La vita è oltre. Va oltre
La vita è oltre. Va oltre
E io, semplicemente, decido di vivere.
In uno dei tanti modi in cui l'uomo può vivere.
Dentro e fuori la cosiddetta zona di comfort
Dentro e fuori ogni altra formula alla moda: di oggi e di domani.
Perché tocca (dovrebbe toccare) al singolo individuo scegliere.
Non decidono al suo posto, e in modo neppure tanto subliminale, le slide che ci sommergono ogni giorno.
Anche quando non vengono proiettate.
Anche quando non le vediamo in nessuno schermo, o non girano per il web.
Perché sono 'slide', ormai, che non hanno più neppure bisogno di rendersi visibili.
Sono nell'aria: le respiriamo. Ce le trasmettiamo inconsapevolmente l'un l'altro, come un virus.
O un mantra.
Sono lo spirito del tempo.
Ma perché non proviamo a costruirne un altro?
Un altro spirito del tempo non è possibile?
Un altro spirito del tempo non è possibile?
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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