Se il sesso esiste è per migliorare i geni di una specie. Ma anche i geni hanno molto da dire sul nostro modo di vivere il sesso. Nel Dna infatti esistono caratteri che influenzano l’età della prima volta, la propensione a sposarsi, ad avere figli e a restare fedeli, l’orientamento sessuale e l’identità di genere.
Questi tratti, studiati finora in maniera aneddotica e sporadica, sono stati messi insieme da un esperto di Dna e da un sessuologo in uno studio appena uscito su 'Sexual Medicine Review'.
Il “matrimonio” tra le due discipline ha come protagonisti Giuseppe Novelli, genetista e rettore di Tor Vergata ed Emmanuele Jannini, che nell’università romana insegna sessuologia medica, presidente della Società italiana di Andrologia e medicina della sessualità.
Citare i geni come fattore del comportamento sessuale espone sempre a polemiche.
«Il Dna non ci obbliga a fare nulla. Le nostre scelte restano comunque libere », ci tiene a premettere Jannini. «I geni sono l’ hardware che regola le scelte e i comportamenti sessuali di base» spiega Novelli. «L’educazione, l’esperienza, gli incontri rappresentano il software ».
La nuova disciplina della “genetica della sessualità” ha come strumenti lo studio dei gemelli identici e di animali che non ti aspetteresti, come le arvicole delle praterie. Nei maschi di questa specie — raro esempio di vera monogamia in natura — basta bloccare il gene della vasopressina (ormone prodotto dall’ipofisi del cervello) per scatenare istinti promiscui. Attivare lo stesso gene nelle ben più dissolute arvicole di montagna rende invece il maschio attaccato alla compagna. «La vasopressina e la sua variante femminile, l’ossitocina, sono ormoni che creano attaccamento di coppia, se parliamo nel linguaggio della biologia. Oppure amore, se preferiamo la versione romantica del termine», spiega Jannini. (...)
Se l’influenza della genetica nell’omosessualità è molto dibattuta dal punto di vista sociale, la scienza qualche idea chiara prova oggi a raggiungerla.
«Il ruolo del Dna negli omosessuali uomini è più evidente rispetto alle donne. Forse perché in queste ultime entrano in gioco fattori ormonali», premette Novelli. Nel 1993 il ricercatore americano Dean Hamer ha trovato che una particolare variante del gene Xq28 era presente nel 70% degli omosessuali osservati. Lo studio ha aperto un dibattito molto vivo, che nemmeno una conferma pubblicata a maggio di quest’anno dallo psichiatra americano della NorthShore University Alan Sanders è riuscita a sopire.
«Abbiamo chiesto a diversi circoli Arcigay di aiutarci a chiarire quest‘aspetto», dice Jannini. «Ma ci siamo sentiti rispondere che gli omosessuali non sono scimmie da laboratorio. Siamo i primi a credere che i geni non funzionino in assoluto ed è sempre l’ambiente a favorire la loro attività. D’altro canto, è assurdo sostenere che un certo tipo di formazione scolastica possa modificare l’orientamento sessuale».
Di fronte al paradosso del Dna omosex (perché mai l’evoluzione dovrebbe favorire un gene che non porta alla riproduzione?) le ricerche degli ultimi anni hanno avanzato l’ipotesi che Xq28 aumenti la fertilità nelle portatrici donne.
*** Elena DUSI, giornalista, Sesso: è tutta una questione di geni, 'la Repubblica', 6 luglio 2015
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