domenica 1 novembre 2020

#FAVOLE & RACCONTI / La sfida tossica (Massimo Ferrario)

La sfida gli era stata lanciata proprio il giorno del suo compleanno. 

Vecchio Samurai, da tutti stimato come il più autorevole e saggio esperto nella nobile arte del karate, stava festeggiando gli 80 anni con i suoi allievi. Una cerimonia molto semplice: una torta e l'applauso affettuoso dei discenti.

Un'atmosfera gioiosa e serena.
Finché lui era apparso sulla porta con la sua aria truce e strafottente. 
Lo conoscevano tutti per la sua totale mancanza di scrupoli, sia nei rapporti quotidiani con chiunque entrasse in contatto con lui, che con gli avversari durante i combattimenti.

Di incontri, non ne aveva perso uno, tra il delirio entusiasta dei suoi fan: aveva una tecnica indubbia, varia e sperimentata, e sapeva muoversi con intelligenza e abilità, anticipando le mosse dell'avversario e spaesandolo con i suoi gesti rapidi e guizzanti.
Ma  ciò che lo caratterizzava era soprattutto il bullismo: la sua insolenza, la sua volontà di mortificare e offendere l'avversario, mirando a fargli perdere il controllo. 
Prima di iniziare i combattimenti, non si inchinava nel saluto tradizionale: cominciava subito a provocare, umiliando e urlando. Per qualche minuto incensava se stesso come il più grande combattete di tutti i tempi e si divertiva a schernire chi aveva di fronte, prevedendogli la sconfitta in poche sequenze.

Giovane Invincibile, si faceva chiamare. 

Senza neppure chiedere permesso, irruppe con violenza nella sala della scuola diretta da Vecchio Samurai proprio mentre tutti stavano gustando la torta di riso preparata per l'occasione. 
Si fece subito un silenzio preoccupato: il calore della festa si trasformò in gelo. 

«Ti sfido a un incontro, vecchio. Ho battuto tutti. Manchi solo tu. E questa vittoria sarà la mia più bella: ricordata nella storia del karate.

Vecchio Samurai posò lentamente la tazza di te che stava bevendo. 
Si alzò dal tappeto in cui tutti erano seduti. 
Si inchinò al giovane e sorrise.

«Finalmente incontro colui che tutti chiamano Giovane Invincibile. Ho sentito parlare molto di te ed ero curioso di conoscerti. Noto che non ti perdi in chiacchiere. Né saluti, né rispondi al saluto. E' il tuo tratto: me l'avevano riferito. Ma è poco male, almeno fuori dagli incontri di karate. Io però ho altre abitudini. E non intendo perderle. Dunque benvenuto, nonostante la tua entrata irruente e scortese. Ma veniamo alla sfida. Francamente: mi ero preparato alla tua venuta. Ero sicuro che, prima o poi, non avresti resistito al desiderio di sfidarmi: sarebbe il massimo per te ingaggiare la tua forza fisica, fresca degli anni in cui la prestanza è massima, in un incontro con un vecchio samurai che ha combattuto tutta una vita forse collezionando dieci volte il numero dei tuoi incontri. E magari vincermi. Il mio curricolo non è un merito, naturalmente: è solo una conseguenza dell'età. E, a differenza di quanto tu racconti di te, io non ho sempre vinto. Perché il karate fa parte della vita e nella vita si vince e si perde. E vivere è appunto questo. Mi spiace che a te non sia ancora accaduto di essere mandato al tappeto: ti manca un apprendimento. Per rialzarsi da una sconfitta bisogna prima essere caduti: e cadere è un'esperienza fondamentale per tornare a vincere.»

Giovane Invincibile era impaziente: non amava le lungaggini e odiava i discorsi, specie degli anziani.
«Dunque, vecchio? Mi vuoi incantare con le tue ciance, oppure accetti e rispondi alla mia sfida? Non ho tempo da perdere, io»

Gli allievi attorniarono subito Vecchio Samurai: un po' come per difenderlo dalla aggressività rozza del giovane e un po' per dirgli all'unisono di non accettare.

Parlò il più autorevole degli allievi, senza tradire l'ansia che aveva toccato tutti.
«Ti preghiamo, Vecchio Samurai, non ti venga l'idea di assecondare questo ben noto personaggio che con la sua boria e la sua maleducazione sporca l'arte del karate. Lui vuole solo farsi beffe di te e appuntarsi sul petto l'ennesima vittoria. Non ti abbassare: la tua maestria, dimostrata sul campo in oltre 60 anni di vita dedicata al karate, non merita di essere infangata. Basta un tuo cenno: e lo accompagniamo alla porta.»

Il giovane fece una risata sgangherata all'indirizzo degli allievi. 
E Vecchio Samurai, con un gesto, tranquillizzò i suoi trepidanti adepti. 

Poi si rivolse allo sfidante.
«Accetto, ragazzo. A una sola condizione, tuttavia. Che tu rispetti lo spirito sacro dell'incontro, dimenticando certe sceneggiate che, mi hanno raccontato, sei solito produrre per intimorire i tuoi avversari e far fremere di entusiasmo i tuoi seguaci. Se ti impegni a osservare le regole che presiedono alla nostra comune disciplina, accetto volentieri la sfida. Anche perché mi dai l'occasione di sperimentare una nuova mossa, credo assai potente, che ho elaborato in anni di combattimento. Attendevo un momento come questo: comunque vada a finire l'incontro, impareremo tutti e due. Io mi misurerò con la tua tecnica che tutti decantano e valuterò se la mossa che ho preordinato potrà o no avere successo. E tu, se vincerai, avrai testato che la mia mossa è stata perdente, e se perderai, avrai acquisito ciò che ad oggi è un mio segreto. Magari te ne impadronirai e sarai capace di farla funzionare meglio. Tu infatti, a differenza di me, hai futuro e la mia mossa, magari migliorata da te, potrà esserti utile nei tanti incontri in cui ancora vorrai impegnarti». 

Giovane Invincibile non tradì la sua fama di strafottente.
«Non ho certo bisogno di imparare nulla da te, vecchio. Le tue mosse segrete te le puoi tenere: portatele pure nella tomba. Tanto è già scritto: ti batterò. E non avrò bisogno neppure di tanto tempo. Ma ora, sbrighiamoci: vieni nella piazza principale. C'è la mia gente che aspetta. Sarà un incontro che ricorderanno.»

Il giovane e Vecchio Samurai guadagnarono la piazza, tra gli osanna della folla, che ovviamente tifava tutta per il ragazzo.

I due si misero in posizione. 
Il vecchio, come sempre, fece l'inchino. 
Il giovane, come sempre, no.
L'attesa era alle stelle.

Giovane Invincibile non si era impegnato a comportarsi correttamente. Vecchio Samurai, ovviamente, se n'era accorto, ma non aveva insistito: la sua richiesta era stata chiara e precisa e non aveva certo intenzione di rimangiarsi la condizione.

Il giovane, che del resto non si era impegnato a trattenersi, diede inizio alla sua rituale offensiva: da una parte stucchevolmente auto-incensatoria e dall'altra violentemente denigratoria nei confronti dell'avversario.
Vecchio Samurai stava ritto in piedi, immobile: osservava in silenzio e con attenzione il giovane. Che non smetteva di danzargli attorno, saltellando freneticamente: urlava, insultava, irrideva.
«Mi chiamate Giovane Invincibile. E fate bene. Perché nessuno mi ha mai battuto. E oggi batterò anche Vecchio Samurai: un povero relitto umano che la mia abilità ineguagliabile di karate costringerà a lasciare per sempre questo mondo che lui pratica da oltre 60 anni. Da adesso in poi il tempo del karate è e sarà solo mio. Io sono il migliore. Nessuno sa fare quello che faccio io».

L'entusiasmo dei fan applaudiva ogni parola del giovane, che si era abbandonato più del consueto al delirio di onnipotenza. 
In genere, le sue provocazioni iniziali duravano qualche minuto. Ma stavolta non si fermavano.

Vecchio Samurai attendeva con infinita pazienza: serio e concentrato. 
Ma anche sereno e leggero nell'animo: sicuro di come si sarebbe comportato. 
Giovane Invincibile non smetteva di lanciare offese: più insolente e ingiurioso che mai.

A un certo punto il vecchio alzò un braccio. 
Il pubblico si zittì. 
Il giovane gridò l'ultima insolenza, poi si bloccò e guardò interrogativamente il vecchio.

Vecchio Samurai parlò con voce alta e decisa, in modo che anche l'ultimo in fondo alla piazza potesse ben ascoltare le sue parole.
«Mi avevano detto della tua tecnica, ragazzo: prima dell'incontro ti piace comportarti da smargiasso. Vuoi mettere in imbarazzo l'avversario e fare un po' di spettacolo per chi ti segue e ti applaude senza conoscere cosa significa l'arte nobile del karate. Che è soprattutto filosofia di vita: autodisciplina, elevazione dello spirito, rispetto dell'altro. Stavolta, però, mi sembra tu stia esagerando. Io non ho orologi, perché mi basta il sole per misurare il tempo che scorre. Ma ti ho ascoltato anche troppo e troppo tempo abbiamo già dissipato: e questa è una delle offese più grandi che possiamo fare alla vita. Non so se, come spesso capita a chi ha bisogno di ripetersi che lui è il migliore del mondo, soffri di una patologia inguaribile. Oppure, sempre come spesso accade ai tipi come te, insultando e denigrando come stai facendo senza un argine che ti contenga, vuoi spingere l'altro, in questo caso me, a dire basta: magari perché temi la mossa segreta che ti ho preannunciato. In questo caso sarebbe vigliaccheria: al di là delle parole autoconsolatorie, dimostreresti che sotto sotto hai paura di affrontarmi. Tu forse lo ignori, ma i bulli, contrariamente a quanto vogliono far sembrare, sono profondamente vigliacchi. Comunque, sia come sia: non mi interessa capire le recondite intenzioni della tua personalità disturbata. Per quanto mi riguarda, io mi fermo qui. Se credi che questa sia una vittoria, hai vinto. Ma la sfida non è neppure iniziata. Perché, come ti avevo preannunciato se tu non avessi rispettato la condizione, io l'ho rifiutata».

Vecchio Samurai fece un inchino. 
Stava per abbandonare la piazza, seguito dai suoi allievi, quando Giovane Invincibile, avvicinandosi e mettendogli una mano sulla spalla, lo fermò bruscamente, ponendoglisi davanti e riprendendo a insultarlo: con una una foga senza freni.

«Qui c'è un solo vigliacco: sei tu, vecchio. La figuraccia è tutta tua. Avevi accettato la sfida: dovevi combattere, ma hai avuto paura. E ora te ne vai con la coda tra le gambe. Non hai avuto neppure la capacità di difendere la dignità e il tuo onore. Dici che ti ho offeso? E reagisci andandotene? Combatti, se hai coraggio: invece hai preferito arrenderti.»

Vecchio Samurai si abbandonò a un largo sorriso. 
Poi si rivolse ai suoi allievi, sempre parlando a voce alta in modo che anche i seguaci del giovane potessero sentire.

«Cari ragazzi che avete assistito a questa poco nobile sceneggiata: ho una domanda da farvi. Se uno ha qualcosa che vuole darvi, ma voi rifiutate quella cosa, a chi apparterrà ciò che voi avete rifiutato?».
Come sempre rispose per tutti l'allievo più autorevole.
«Naturalmente la cosa resterà di proprietà di chi voleva darvela, ma voi non l'avete voluta».

Vecchio Samurai annuì, soddisfatto.
«Avete detto bene, ragazzi. Quel giovane, cosiddetto Invincibile, mi voleva trasmettere la sua collera, il suo odio, probabilmente la sua profonda invidia per la reputazione di cui godo nel mondo del karate. Sperava che accettassi i suoi miseri sentimenti e, una volta accettati, reagissi come lui voleva, prendendo parte a un incontro che insulta lo spirito del karate. Non c'è stata nessuna resa da parte mia. Se non mi fossi ritratto, sarei diventato suo complice. Invece ho rispedito al mittente i suoi sentimenti: perché non sono solo di per sé velenosi: avvelenano. La sua non era una sfida pulita e generosa. Ma tossica. Che mi avrebbe intossicato se non mi fossi rifiutato. E avrebbe continuato a intossicare chiunque avesse assistito all'incontro. Questi suoi miseri sentimenti non mi hanno toccato: restano tutti suoi. E di quelli che non riescono a liberarsene e fanno di gente come lui il loro triste idolo».

*** Massimo Ferrario, La sfida tossica, per Mixtura - Rielaborazione creativa di un testo diffuso in rete.


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