[Un commento recente che ho letto: "Io non uso i femminili professionali, se non quelli che esistono tradizionalmente in italiano. La storia della nostra lingua è importante!"]
Vogliamo appellarci alla storia della lingua? Allora studiamola. Sin dal latino, passando attraverso i secoli fino all'italiano, è documentata la presenza di nomi "di agente" al femminile. Alcuni esempi? Ministra e gubernatrix in latino classico, tinctrix nel latino tardo, giudicessa nel Medioevo, architettrice nel '600, sindaca spontaneamente dagli anni Settanta, là dove c'erano sindache, ecc.
Che cosa ci dice la storia? Che i nomina agentis al femminile sono stati impiegati nel corso dei secoli quando la persona a cui ci si doveva riferire era di sesso femminile. Nessuna rivendicazione, nessuna questione politica: è il funzionamento della nostra lingua (e del latino prima di essa).
Nessuno ha problemi a parlare di maestra, sarta, cassiera, regina, imperatrice o papessa (quella dei tarocchi), femminili a cui abbiamo fatto l'orecchio, mentre le difficoltà sono per avvocata, minatrice o ingegnera, ruoli lavorativi nei quali fino a tempi recenti non si è usata la parola al femminile per... oggettiva mancanza di donne in quell'ambito. Ma anche in passato, mi ripeto, i femminili sono emersi "alla bisogna", quando compartiva una donna in una certa posizione lavorativa o in un certo ruolo.
Quindi, dopo questa panoramica storica, cosa mi sento di concludere? Che dal punto di vista storico, il costume linguisticamente più consono alla nostra "tradizione linguistica" sarebbe quello di usare i femminili. E la resistenza a farlo, secondo me, dipende soprattutto dall'abitudine a sentire o meno una certa parola. Ma siccome passare per abitudinari è brutto, ci inventiamo le peggio castronerie: "suona male", "il ruolo è neutro", "i problemi sono ben altri" eccetera.
*** Vera GHENO, sociolinguista, saggista, facebook, 7 novembre 2020, qui
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