sabato 11 agosto 2018

#FAVOLE & RACCONTI / Quando il Robot Super-Umano si arrabbiò (Massimo Ferrario)

Era stata dura, ma ce l'aveva fatta.
Del resto la sua passione per i computer era iniziata sin da quando era piccolo.
Già a dieci anni era capace di smontare e rimontare qualunque dispositivo elettronico gli fosse capitato a tiro. E poi, a vent'anni, era diventato un esperto imbattibile di software. Avrebbe potuto farsi assumere da Apple e Microsoft. Lo avevano corteggiato con insistenza, la fama della sua competenza era arrivata oltre Oceano: aveva pubblicato articoli specialistici sulla stampa più seria e di nicchia. Ma lui mirava al super-computer, al robot umano: voleva mettere in atto tutto il suo sapere sull'intelligenza artificiale. Appena lo avesse realizzato, avrebbe lanciato la sua start-up. E sarebbe stato un trionfo mondiale.

Ora il super-computer, il robot umano, anzi super-umano, era pronto. Era un oggetto e tuttavia non era proprio un oggetto. Era piuttosto un soggetto a pieno titolo. O comunque un ibrido oggetto-soggetto: non solo reattivo, ma anche attivo. Non solo esecutore, ma anche pensante. Un robot con le sembianze umane: non tanto per la forma esteriore, che pure non aveva nulla da invidiare a una figura umana, ma per quello di prezioso, unico e fantastico che custodiva dentro. Nel suo cuore. Per quello che sapeva elaborare in nanisecondi e sapeva trasmettere all'interlocutore con emozioni e sentimenti. Come un umano. Meglio di un umano. 

Sarebbero presto cominciati i test: Marco ne aveva programmati molti, rigorosissimi. 
Ma per iniziare ad avere qualche primo dato, bastava l'amico.

Il giovane lo pregò di venire nel suo laboratorio: come nelle migliori leggende americane, aveva occupato il box  di casa con tutti i suoi arnesi. Da lì sarebbe partita la sua avventura per il mondo. Un giorno anche il suo garage sarebbe stato famoso.

Giorgio sapeva del sogno dell'amico di creare il robot super-umano. 
Era un po' scettico, ma non si intendeva di elettronica e software e men che meno di intelligenza artificiale e dunque non sapeva fino a che punto quella di Marco fosse un'idea pazza o realistica. Comunque conosceva Marco da quando andavano all'asilo, lo stimava, apprezzava la sua passione e tifava per lui.

Quando Giorgio arrivò al box, l'amico stava ancora trafficando alla sua creatura.
Era raggiante.

«Lo vedi? Il bambino finalmente è nato. E' tutto pronto, non ti preoccupare. Stavo solo finendo di avvitare un ultimo pezzo di corpo che avvolge la macchina. Ormai il super-computer, il robot super-umano, è una realtà. E ti ho scelto per il primo test. Vedrai. Ti sembrerà incredibile».

Impossibile non essere contaminati dalla gioia di Marco.
Giorgio si sentiva onorato di essere il primo a testare il suo gioiello portentoso.
«Cosa devo fare?».
«Semplice. Devi parlargli. Fargli una domanda, una qualsiasi, e lui ti risponderà».
«Ma una domanda su cosa?».
«Su qualsiasi argomento. Dalle formule matematico-fisiche che so essere per te le più lontane dal tuo mondo ai temi di studio che più ti piacciono o alle cose di tutti i giorni. Filosofia, politica, scienza, geografia, storia, costume, gossip. Oppure cose tue: private, personali. Lui è stato preparato a rispondere a tutto. Scegli tu: io non ti voglio influenzare.»

Giorgio ci pensò un attimo, poi si decise.
Strizzò l'occhio a Marco, sapendo che ovviamente lui sapeva.
«Dove sta mio padre in questo momento?».
Marco non si scompose: si fidava della sua creatura.

Il robot sentenziò.
«Tuo padre è al bar di via dei Ciliegi, a 3 chilometri da qui. Sta bevendo una birra. E gioca a scopone in coppia contro due che abitano al paese che si trova a cinque chilometri da qui. Come sempre anche oggi non è molto bravo. E sta perdendo».

Giorgio sorrise. 
Guardò Marco.
«Mi spiace, Marco. Il primo test ovviamente non è riuscito. C'eri anche tu al funerale di mio papà un mese fa. Purtroppo». 
Poi, con la voce alta e diretta in faccia al robot, sillabò, imitando le voci fredde dei nastri artificiali: 
«Mio padre è morto di infarto esattamente 28 giorni fa. Imparalo».

Marco annuì. 
«Hai ragione. Ma non capisco: è impossibile che il mio robot super-umano si sia sbagliato».
L'amico diede una pacca sulla spalla a Marco, accingendosi ad andarsene. 
«Gli mancava l'informazione. Succede. Anche un robot super-umano mica può sapere tutto.»

Il robot super-umano, sentendosi tirato in ballo, intervenne: risentito.
«Informo che è impossibile che io abbia sbagliato. Il mio padrone Marco mi ha fornito di ogni informazione. E mi ha soprattutto rifornito della capacità fondamentale di cercare da solo le informazioni che mi servono. Io non solo 'so'. Ma 'so apprendere' dalle cose che so. E 'cercarmi nuove informazioni'».

Il robot non aveva la voce metallica e neutra che di solito hanno le voci artificiali. Il tono non era per nulla neutro. La macchina pareva davvero più che umana: comunicava emozione. Insomma si poteva dire che era decisamente seccata e umiliata per l'osservazione che Giorgio le aveva rivolto.

Giorgio stava per rispondere per le rime al robot, poi pensò che non ne valeva la pena: in fondo si trattava solo di un aggeggio di ferro.
Marco trattenne l'amico che era già sulla soglia del box.
«Abbi pazienza, Giorgio: facciamo una seconda prova. Forse, se formuliamo la domanda in un altro modo, siamo in grado di capire se davvero al robot manca l'informazione sulla morte di tuo padre».

Giorgio guardò stranito Marco.
«Riformulare la domanda? E come? Mi pare fosse semplice quello che gli avevo chiesto: dove sta mio padre? Mio padre è morto e lui non ha saputo dirlo. Punto. Capisco che la cosa ti infastidisca, Marco, ma è evidente che c'è qualcosa che devi correggere nel tuo benedetto robot. Tutto qui».

Marco non voleva far alterare l'amico.
«Hai ragione, Giorgio. Però...».
L'amico gli fece l'eco.
«Però?».
Marco ragionò a voce alta.
«Come potremmo ridefinire un padre di un figlio, se il padre è sposato con la madre del figlio? Forse proprio così: che ne dici?».
Giorgio non capiva.
«Marco, sei impazzito? Va bene la tua passione per i computer, ma adesso mi pare tu stia esagerando».
L'amico insistette.
«Ti prego, Giorgio. Prova a fargli la domanda nella forma che ti ho suggerito. Non ti costa nulla e mi dai una mano a capire. Ti assicuro che c'è qualcosa che non torna».
Giorgio sbuffò. Erano cresciuti insieme e si volevano bene: poteva mandarlo a quel paese per un maledetto robot che credeva di sapere tutto?
«E' solo il tuo robot che non torna: non c'è proprio nulla da capire».

Ma si lasciò convincere. 
Si rivolse alla macchina e riformulò la domanda, con un tono infastidito e allo stesso tempo canzonatorio.
«Mi scusi, mio caro signor robot super-umano e super-computer signore di tutti i computer, mi vuole dire in questo momento, senza commettere lo stesso sbaglio di prima, dove sta il marito di mia madre?».

Il robot  prima espresse un lungo fruscio che poteva essere uno sbuffo.
Poi fece uscire, dalla bocca che non aveva, un gorgoglìo che voleva essere una delle peggiori imprecazioni che aveva immagazzinato. 
Quindi, ritrovato un tono composto, in modo chiaro e assertivo e rispondendo con il lei al lei con cui Giorgio gli si era rivolto come per deriderlo, pronunciò parole che non ammettevano repliche: 
«Caro signor Giorgio, il marito di sua madre è morto esattamente 27 giorni e 21 ore fa e il funerale è stato celebrato 29 giorni e 3 ore fa. Ma suo padre, come le ho già detto nella mia prima risposta, è sempre al bar di via dei Ciliegi. Solo che ora non gioca più a scopone, ha perso per la quinta volta la partita e sta per andarsene a casa, giurando come sempre che smetterà di scegliersi soci che sanno solo perdere e far perdere. E questo per non dover ammettere che è lui il vero perdente. Mi rattrista che abbia dovuto essere io a darle l'informazione che le mancava e, anche per questo, le auguro buona vita e buon futuro. E soprattutto le auguro di non assomigliare a suo padre».

*** Massimo Ferrario, Quando il Robot Super-Umano si arrabbiò, per Mixtura. - Riscrittura di una storiella diffusa in rete.


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