Bisogna anche saper vincere. Nella corsa all’intestazione del trionfo referendario assistiamo in questi giorni a spettacoli e siparietti d’ogni tipo. Ma l’indicazione che esce dalle urne – chiara e forte – potremmo tradurla così: giù le mani dalla Costituzione. Dieci anni fa i cittadini avevano bocciato (con un referendum che ebbe un’affluenza del 52% e una percentuale di No pari al 61,2%) una riforma proposta dal centrodestra e che aveva alcune (troppe) parti in comune con l’ultima: quella introduceva il premierato, dichiarandolo; questa rafforzava l’esecutivo con un raggiro.
Dieci anni dopo il voto del 2006, gli italiani hanno confermato in pieno quel voto, con una partecipazione ancora maggiore. Il popolo sovrano (non il populismo) ha esercitato le sue prerogative: ora è sperabile che non si ricominci a tessere un’altra tela di Penelope utile solo a coprire le mancanze di una classe dirigente palesemente non all’altezza e a perdere tempo prezioso. Alcune misure – come la diminuzione del numero dei parlamentari e la fiducia al governo data dalla sola Camera – sono largamente condivise; si possono approvare due leggine di revisione costituzionale in questo senso anche domani.
C’è un’altra cosa, rivoluzionaria, che si potrebbe fare ed è applicare la Costituzione nelle tante parti non attuate o smantellate via via nel corso degli anni. Visto che manometterla non paga (la sberla elettorale è stata così sonora che se ne sente ancora l’eco), provate a vedere che succede ad assicurare la pari dignità sociale, l’occupazione, lo sviluppo della cultura e della ricerca, l’istruzione, la retribuzione proporzionata, la sanità per tutti. Sono queste le priorità, non il bicameralismo paritario. (...)
*** Silvia TRUZZI, giornalista e saggista, La Carta, non serve manometterla, 'ilfattoquotidiano.it', 8 dicembre 2016
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