Di dubbia utilità per chiarire agli italiani su che cosa si voterà tecnicamente il 4 dicembre, il dibattito di ieri tra Renzi e Zagrebelsky è stato invece prezioso per confrontare due approcci cognitivi alla democrazia, ai cittadini, ai media, alla politica, al passato e al futuro. E si tratta di due approcci cognitivi agli antipodi.
A destra sul nostro schermo c'era un signore - Zagrebelsky - per il quale la complessità è un valore. Bastava vedere la quantità di frasi subordinate, bastava vedere lo sforzo (spesso "fisico" e quasi sempre vano) nel tentare di sintetizzare nei tempi televisivi questioni costituzionali sempre in bilico tra il giuridico e il politico, tra la forma e la sostanza, tra il singolo articolo e il quadro complessivo.
C'era, a destra dei nostri schermi, un signore che ha dedicato una vita a spiegare che la democrazia rappresentativa non è il sistema in cui comanda chi ha più consenso in un'istantanea dell'opinione pubblica, bensì è un insieme di regole, comportamenti, soppesamenti, bilanciamenti, garanzie, limiti, collaborazioni e confronti: e questo, secondo lui, è ciò che rende migliore una democrazia diffusa da una plebiscitaria.
A sinistra c'era invece un altro signore - Renzi - che ha come visione e obiettivo la semplicità e/o la semplificazione, il superamento degli ostacoli, la realizzazione rapida di ciò che ha deciso il leader che ha preso più voti.
C'era un signore, a sinistra nel monitor, secondo il quale lo scopo di una riforma costituzionale è il superamento dei (troppi, secondo lui) intralci che la democrazia disegnata dai nostri padri costituenti pone al leader della parte che ha vinto le elezioni, anche se le ha vinte di un solo voto e con una maggioranza solo relativa. (...)
*** Alessandro GILIOLI, giornalista, saggista, Stiam diventando tutti più scemi?, blog 'piovono rane', 1 ottobre 2016
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