Giorgio Serafini Prosperi, "Una perfetta geometria"
NN Editore, 2016
pagine 328, € 17,00, ebook € 6,99
Oltre il 'giallo'
L'esordio va inteso nel ruolo di scrittore di romanzi, perché come autore di teatro, attore e regista, Giorgio Serafini Prosperi vanta un'esperienza di successo non trascurabile. Ed è probabilmente anche questa sua lunga attività, a stretto contatto con il palcoscenico e la sceneggiatura, che lo ha agevolato nel dare drammaticità, tensione e intensità a quel poderoso e intrigante impianto 'geometrico', richiamato nel titolo (Una perfetta geometria), che ispira e tiene insieme i contenuti di questa sua prima prova narrativa in forma di 'giallo'.
Non so se, per riprendere esattamente il titolo completo, si può parlare di 'geometria perfetta': la perfezione, in genere, rischia la noiosità e qui, se manca qualcosa, manca appunto questa. Ma certo il quadro che viene costruito, con meticolosità e passione lungo oltre trecento pagine che non danno tregua, colpisce per grandiosità e coerenza di sviluppo. I tasselli in gioco sono tanti e tante le connessioni che man mano si svelano: fa parte delle regole del genere che, prima o poi, il puzzle trovi una sua composizione, armonizzando anche i pezzi che apparirebbero meno coordinabili. Ma qui l'incastro finale, con gli effetti collaterali che ne discendono, sembra sorprendere oltre il solito e suscitare un apprezzamento particolare. E poi, forse, mai come stavolta, la categoria di genere è riduttiva e fuorviante: perché, se è vero che c'è una indagine a fronte di due morti sospette, l'affresco che viene dipinto e fa crescere la storia con pazienza e tenacia, va oltre il poliziesco, e impatta, con grande abilità espressiva e notevole efficacia realistica, la tematica sociale e politica cui da anni ci ha abituato il nostro Paese, attraversato da affarismo, corruzione e intrighi perversi di potere: nonché, in questo caso, dal profilo misterioso e pericoloso di una setta esoterica e del suo leader carismatico che si fa passare per santone.
Protagonista del racconto è un ex-commissario, Adriano Panatta: il cui nome, com'è ovvio, ogni volta suggerisce facili battute non solo da parte di chi più più da vicino conosce il tennis. È stato trasferito per punizione al ministero in un ruolo di grigio burocrate, chiamato ad apporre la firma di autorizzazione sulle pratiche di rimborso previsto dalle polizze assicurative. La rimozione dal ruolo è dovuta a una vicenda oscura, che resta nel libro sospesa e non chiarita, ma che sembra incombere su un passato individuale già di per sé difficile, doloroso e non del tutto risolto anche sul piano psicologico: una dipendenza alimentare per la quale è tuttora in cura con un gruppo di autoaiuto.
Tutto parte dalla incapacità di Panatta di rifiutare la richiesta di una vecchia fiamma, Olivia, rifattasi viva a distanza di anni, dopo che, improvvisamente e senza dare spiegazioni, aveva rotto a suo tempo un legame che lui credeva non superficiale. La donna prega Panatta di raccogliere informazioni sulla morte di una ragazza, Alice, amica della figlia Vera, avvenuta anni prima: la figlia, infatti, una giovane bella e seducente, ma con problemi altalenanti di disagio psicologico che le provocano anche una forma di bulimia, è sempre più convinta che si sia trattato di un assassinio, anche se all'epoca le autorità non avevano riscontrato anomalie. L'ex commissario, all'inizio quasi senza accorgersi, si lascia scivolare dentro la vicenda, che cresce sempre più ingarbugliata: è costretto a muoversi, ovviamente, in modo 'carbonaro', rivelando passo passo intuito e creatività, ottimamente aiutato da un simpatico e fedele ispettore che sa essere non solo un diligente esecutore, ma anche un intelligente investigatore.
La storia comunque si allarga e i personaggi che la colorano non mancano: tenerla insieme non è facile, e l'abilità dello scrittore si rivela anche nello sbrogliarla senza far perdere il filo al lettore.
Infine va segnalato un rivolo, non secondario, ma anzi essenziale nell'architettura dell'intera vicenda: la percorre infatti dall'inizio alla fine, contribuendo ad affascinare e dare pepe, con momenti di emozione vera e non scontata. E' dato dallo sviluppo del rapporto affettivo (intenso, accidentato, problematico e mai banale) in cui Panatta si ritrova invischiato, all'inizio in modo quasi inconsapevole e casuale e poi sempre più intenzionale e coinvolto. E' opportuno qui farne soltanto un cenno, senza svelare altro. Ma credo si possa affermare che in questa parte, in maniera ancora più evidente che nelle altre pagine, dove, al di là dei fatti più puramente di azione, gli aspetti umani sono comunque sempre seguiti con particolare partecipazione e sensibilità, l'esperienza aggiuntiva di counselor dello scrittore, dichiarata nella biografia, è capace di offrire uno sguardo psicologico acuto e profondo, che sa restituire con scrupolo ed empatia, anche drammaticamente e tumultuosamente, i risvolti contraddittori e più in ombra dell'anima umana.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
«
«Un fascicolo che hai sottratto dall’archivio? Ma sei matto?» si ribella Adriano.
«Sono solo copie fotostatiche» ribatte Stoppa con la sua migliore faccia di bronzo, usando apposta un termine burocratico obsoleto «per chi m’ha preso?».
«Vabbè, te lo porti via comunque» Adriano si affretta a consegnarglielo, come se scottasse «io qua non ce lo voglio. E consiglio pure a te di farlo sparire».
«Come vuole lei» concede l’ispettore «ma non si può chiudere la stalla quando i buoi so’ già scappati».
«E dai, Stoppa» Adriano si contiene. Non sa se lo innervosisce di più il luogo comune che ha appena sentito o la diagnosi del collega. «Ogni cosa ha un inizio e una fine».
La replica è fulminea: «So’ d’accordo con lei, commissa’. E infatti sa che le dico? Che le cose finiscono sì, è vero, e lo sa quando? Quando so’ finite».
Touché. Stoppa è riuscito, con una sola battuta, a farlo sentire un perfetto idiota e anche un vigliacco. Stringe i denti, riesce solo a dire: «Non t’arrendi, eh? Grazie, ti faccio sapere».
«Non c’è di che». (Giorgio Serafini Prosperi, "Una perfetta geometria", NN Editore, 2016)
Quel particolare è sfuggito a Stoppa ma non a lui. E ora in Adriano si è risvegliato qualcosa – l’istinto, forse? – che aveva respinto, rifiutato con forza ai tempi della caduta ma che adesso è dolce, vorace, indomabile ed erotico. Suo padre lo sapeva, sapeva di quella fame oscura che prendeva forme dolorose – la depressione, il cibo – e aveva trovato, senza saperlo, la cura giusta: un mestiere in cui essere eternamente affamati, in cui scavare senza sosta, in cui non fermarsi per nulla e per nessuno, a meno di non essere costretti. (Giorgio Serafini Prosperi, "Una perfetta geometria", NN Editore, 2016)
«Hai conosciuto personalmente von Lowenberg?» chiede Adriano, dopo aver lasciato a Ezio il tempo di riprendersi un po’ e a se stesso quello di elaborare la novità.
Lui scavalca il muro del pudore con una difficoltà che non nasconde. Un atto di fiducia nei confronti di Adriano.
«Certo. Lo idolatravo. Era diventato l’ispiratore della mia vita» ammette.
«E che tipo è?».
«Ha un fascino incredibile, un magnetismo impressionante. Ti legge dentro. Ogni volta che ho avuto a che fare con lui ero in soggezione: mi sembrava che indovinasse ogni mio pensiero. Ora che ci penso a mente lucida capisco anche il perché: ogni pensiero che credevo mio era, in realtà, un pensiero ispirato e creato da lui. È così che manipola le persone. È così che le rende schiave». (Giorgio Serafini Prosperi, "Una perfetta geometria", NN Editore, 2016)
«Hai visto che faccia da culo?» domanda Vera. A chi si riferisca è fin troppo chiaro.
«Fotogenico, però» risponde lui, ironico. «Non credo che uno possa essere nominato presidente del Consiglio senza il requisito primario della faccia da culo».
«Sì, lui però esagera» (Giorgio Serafini Prosperi, "Una perfetta geometria", NN Editore, 2016)
Adesso Adriano è sicuro. C’è un disegno in tutto ciò, una perfetta geometria. Anche se sapere qual è e nominarla non gli importa più. (Giorgio Serafini Prosperi, "Una perfetta geometria", NN Editore, 2016)
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