giovedì 3 marzo 2016

#SPILLI / Insulti, no: e non solo perché lo dice la Cassazione (M. Ferrario)

Non è una cosa molto originale notare la frequenza di insulti che esondano dai vari social network, twitter e facebook soprattutto. 

Tuttavia, ciò che da un po' di tempo mi colpisce come fenomeno crescente è la 'qualità' degli insultatori. 
In passato erano quasi tutti riconducibili alla specie detta dei troll: gente, tuttora abbandonante in rete, che si caratterizza per una rozzezza culturale triste e desolante, prigioniera com'è di pulsioni narcisistiche incontinenti e in genere poco attrezzata sul piano linguistico, oltre che della logica argomentativa. 

Oggi mi pare ci sia stato un salto di passo, che non è certo un progresso: chi insulta può far trasparire anche intelligenza, talvolta non sembra sprovveduto (o si è fatto notare altre volte per non esserlo) e magari fa intuire pure qualche filo di pensiero dietro la sintesi dispregiativa dell'ingiuria. 
Solo che ama andar veloce, secco, per le spicce. Non è interessato a far capire, ma a sparare
E, come un bambino che deve ancora imparare a crescere, cancella con parolacce chi non la pensa come lui. Soprattutto se questo gli consente di esibire il suo egotismo rampante, dissacrando a destra e a manca. 
E se poi l'oggetto della violenza (verbale) va per la maggiore nel pensiero dominante, o comunque mantiene un suo considerevole fascino per un pubblico non di nicchia, tanto meglio: della serie 'lo distruggo e vi faccio vedere chi sono io'. 
Così, senza alcuna remora, gode nel lasciarsi andare a dare del cretino, pubblicamente, facendo nomi e cognomi: e sbeffeggiando con tracotanza Tizio, Caio e Sempronio.

Naturalmente, se no non c'è gusto, oggetto dell'irrisione diffamante sono personaggi pubblici, che la maggior parte degli interlocutori conosce - non importa se di 'oggettiva' autorevolezza o di dubbia fama -, per i quali la critica, pure dura e spietata, può essere appropriata. E naturalmente certi comportamenti mostrati, o certe affermazioni pronunciate, da questi signori, possono di per sé dare (più) che ragione alla valutazione negativa. Ma un conto è stigmatizzare la 'cretinata' e un conto è dare del 'cretino': perché il comportamento, benché ovviamente discenda dalla persona, non è la persona. E comunque, anche in caso di persona che ripeta sempre comportamenti cretini, un conto è qualificarla cretina parlandone con un amico in un contesto privato e un conto è sparare alla intera blogosfera l'epiteto offensivo.
Banale. Eppure.

Tra l'altro, al di là delle conseguenze da codice civile o penale (la Cassazione ha appena stabilito che l'insulto sui social è 'diffamazione aggravata', equiparando il social al 'mezzo stampa' - vedi qui) e al di là della cosiddetta buona educazione insegnata (una volta) dalla mamma, mi pare una pratica che ritorna addosso a chi la attua: svalorizzando anche gli eventuali minimi argomenti portati, o che potrebbero essere portati, a supporto del giudizio negativo sul personaggio incriminato.

Chi mi conosce sa che sono lontano anni luce dalla piaggeria e non mi faccio problema nel valutare, anche pesantemente, cose e persone, senza farmi intimorire da nessun 'ipse dixit'. 
Ma esercitare 'pensiero critico', per quanto duramente, significa argomentare: magari pure 'sparare' a idee e azioni che non si approvano, ma facendo attenzione a non superare una certa soglia oltre la quale c'è la persona che mantiene il diritto alla dignità e al rispetto. 
Ora, se serve, lo dice anche la sentenza della Cassazione

Cose ovvie, mi pare. 
Ma pare non troppo ovvie per troppi che amano scribacchiare come me le proprie idee e i propri giudizi sul mondo. 
E ancora non hanno capito almeno due cose essenziali: che la rete è più grande del bar sotto casa; e che le parole dette al bar volano, mentre quelle scritte sul web restano.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

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