Sí, l’indifferenza è davvero la malattia più crudele e inesorabile della vita psichica, e in essa siamo prigionieri di un deserto della speranza che non consente alcuna reale comunicazione, alcuna sincera relazione, con il mondo delle persone e delle cose. Nella indifferenza siamo immersi in una solitudine arida e pietrificata, che nulla ha a che fare con la solitudine interiore, con la solitudine creatrice, e che diviene isolamento. Nell’isolamento diveniamo monadi senza porte e senza finestre: negati a qualsiasi slancio altruistico, e solo incentrati sui ghiacciai di un individualismo implacabile, e dilagante. Nella indifferenza si inaridisce, e si spegne, ogni possibile comunità di destino che è invece la cifra tematica, la immagine, la metafora palpitante e viva, di una condizione di vita che rende la vita degna di essere vissuta anche nel dolore e nella sofferenza, nell’angoscia e nella disperazione. Avviandomi a una preliminare definizione di comunità di destino non potrei se non dire che in essa si vuole tematizzare una visione del mondo, una Weltanschauung, nella quale si esca dalla nostra individualità, dai confini del nostro egoismo, e non si riviva il dolore, la sofferenza altrui, come qualcosa che non ci interessi, come qualcosa che non ci appartenga, come qualcosa che nemmeno sfiori la nostra ragione di vita, ma invece, e sinceramente, come qualcosa che ferisca anche noi: come qualcosa, cioè, che non ci sia estraneo, o indifferente, e nel quale si sia tutti implicati. Insomma, si forma una comunità di destino, una comunità solo visibile agli occhi del cuore, quando ciascuno di noi sappia sentire, e vivere, il destino di dolore, di angoscia, di sofferenza, di disperazione, di gioia e di speranza, dell’altro come se fosse, almeno in parte, anche il nostro destino: il destino di ciascuno di noi. Orientarsi alla costituzione di una comunità di destino, nel dolore o nella gioia, nella paura o nella speranza, significa sapersi immedesimare nel mondo emozionale dell’altro: cercando di riconoscerne e di valutarne, se sia possibile, le ragioni della angoscia, della disperazione o delle attese. Certo, la comunità di destino è solo visibile agli occhi del cuore, e non ai freddi sguardi della raison cartesiana. Creare una comunità di destino non è nemmeno impossibile, se la si sa rivivere nelle sue radici più profonde, con chi dalla sofferenza sia trascinato a tentare il suicidio come spes contra spem: come ultimo gesto di una speranza perduta, e ancora desiderata.
*** Eugenio BORGNA, 1930, medico, psichiatra, saggista, da Aldo Bonomi e Eugenio Borgna, Elogio della depressione, Einaudi, 2011
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