(...) Dal dopoguerra il dirigente è stato simbolo del progresso economico, dell’efficienza, del merito, in particolare se opera nelle imprese private. E’ grazie a questa narrazione che Silvio Berlusconi ha potuto presentarsi con il “manifesto del buon governo”. Lui e gli altri esponenti che Forza Italia portava in Parlamento (dirigenti, pubblicitari, avvocati d’impresa, imprenditori) si candidavano a gestire il paese vantando la capacità di fare bene e in modo efficiente. L’equazione era semplice ed accattivante: siamo stati capaci di gestire un’impresa, saremmo capaci di gestire la cosa pubblica. Si è visto il risultato! (...)
Il punto è che il mestiere del dirigente è quello di realizzare un progetto a favore di pochi azionisti, mentre la politica è la scienza e l’arte dei fini per il bene collettivo di molti, i cittadini. I manager hanno sempre evitato di farsi carico degli obiettivi ultimi, delle grandi scelte, preferendo indossare i panni di agente dell’azionista per una loro esecuzione puntuale, almeno quelli bravi. In questo modo si autoassolvono dalle decisioni spiacevoli come ridurre l’occupazione o de-localizzare le lavorazioni di una fabbrica.
Puntare esclusivamente su questa categoria le speranze di migliorare la gestione e il futuro della cosa pubblica è ingannevole e può risultare deludente. Possibile che nella società milanese manchino figure alternative per una gara più articolata?
*** Sandro CATANI, consulente e saggista, Elezioni Milano, tre manager candidati sindaco: dov’è la politica?, blog 'Il Fatto Quotidiano', 15 amrzo 2016
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