martedì 1 settembre 2015

#SENZA_TAGLI / Parole, per fare solo parole (Osvaldo Danzi)

Le "persone al centro". "Non si può pensare di cambiare facendo sempre le stesse cose". "Siate imprenditori di voi stessi". "In Cinese crisi significa anche opportunità"...
...e altre banalità di questo genere sono state il concime naturale con cui seminaristi di professione e i loro mimi hanno nutrito intere platee aziendali alla ricerca di comfort. Le parole "cambiamento", "partita iva", "disrupted economy" hanno seriamente iniziato a minare i giardinetti fioriti di coloro che fino a quel momento non si erano minimamente preoccupati di quanto l' assenza dal mondo reale mentre erano in vacanza a compilare report, analisi delle competenze, tabelle organizzative o a coordinare convegni nazionali, li stesse escludendo dalle trasformazioni in corso.

E mentre anche le più importanti aziende dei nostri distretti stavano chiudendo, sui siti e nelle slide confindustriali continuavano a fare bella mostra di sé la "Vision" e la "Mission".
Immagino il primo redattore. Colui che ha avuto la vera "vision" di voler mettere per iscritto una "mission". Me lo immagino un piccolo imprenditore, un po' più scaltro di altri. Uno che non aveva paura di far conoscere le sue intenzioni in modo aperto e le ha addirittura messe per iscritto. Mi immagino un signore che ogni giorno scendeva in fabbrica e chiamava per nome i suoi operai. Uno che forse ha fatto il padrino alle Comunioni di chissà quanti nipoti acquisiti.

Nel tempo la Vision e la Mission sono diventati dapprima degli slogan per le convention aziendali e poi dei polverosi quadretti nei corridoi che pochi in azienda saprebbero declamare a memoria. 
Mi chiedo cosa abbiano pensato le centinaia di lavoratori licenziati a causa della "delocalizzazione" fra il 2009 e il 2012 che in quelle Mission hanno davvero creduto. Quelli a cui veniva raccontata "l'importanza di essere vicini ai valori del territorio". Ancora belle parole.

Mi chiedo cosa sia balenato nella testa di quelli che mandati in ferie, al loro ritorno hanno trovato l'azienda trasferita in Polonia. O quei lavoratori di 45 anni lasciati a casa dalla crisi e sostituiti da giovani talenti a basso costo dopo aver creduto in quella Mission, rimettendoci nottate di lavoro, di ferie e qualcuno anche la famiglia.
Così come ho difficoltà a credere nei valori di un'azienda che promuove il gioco d'azzardo.

E se la vecchia classe dirigente non ha avuto scrupoli nell'eleggere alla sua Presidenza un'imprenditrice che parlava di valori sebbene largamente inquisita, la nuova generazione non sembra più interessata al valore delle parole. Per essere un "Giovane Imprenditore" basta essere figlio di imprenditore.

Il vocabolario li tradisce: "è imprenditore colui che costruisce e governa un'impresa". Non il figlio.
In Cinese, "crisi", non vuol dire "opportunità". Basta cercare su google. E' un'immensa baggianata che nasce da un errore di traduzione già ampiamente dibattuto. Ma chi non ha amore per le parole, non ha amore nemmeno per il loro significato.

E rimangono solo un confortevole, amabile slogan con cui mettersi in mostra e rimanere fortemente ancorati al passato.

*** Osvaldo DANZI, consulente,  esperto di risorse umane e social media recruiting, Mission, Vision, Etica: le parole sono importanti. Non abusatene, 'linledin.com/pulse', 25 agosto 2015, qui

Sempre in Mixtura, altri 3 contributi di Osvaldo Danzi, qui

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Sulla credenza che in cinese l'ideogramma crisi contenga la parola opportunità, in Mixtura vedi M. Ferrario, La bufala della crisi come opportunità, 12 marzo 2015, qui

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