martedì 25 agosto 2020

#FAVOLE & RACCONTI / Il ponticello (Massimo Ferrario)

Non era mai successo: in quarant'anni né uno screzio, né una parola cattiva, né un litigio.

Da sempre condividevano in perfetta armonia macchine e attrezzi e insieme avevano coltivato le loro terre confinanti, rendendole rigogliose e ricche di frutti.
I loro figli, ormai adulti e tutti occupati in città, erano cresciuti insieme: ma tornavano almeno per le feste di Capodanno e allestivano tavolate gioiose. 
Le due famiglie originarie dei fratelli Wang e Peng si erano moltiplicate: quando si ritrovavano erano decine di zii, nipoti, nonne, generi, suocere, bambini.

Ma quel giorno era stato come un fulmine che aveva bruciato, in un lampo, la loro convivenza esemplare.
Tutto era nato per un trattore che aveva smesso di funzionare. Da qui l'accusa reciproca per la manutenzione trascurata: sei tu il colpevole, no sei tu che te ne sei disinteressato. E via con gli insulti.
Il giorno dopo Peng, il fratello minore, per ritorsione, aveva deviato la rete dei canali che prendevano l'acqua dal corso del fiume che separava le loro terre, rendendo difficile l'irrigazione del campo di Wang.
Da una settimana non si parlavano. E i due fratelli avevano obbligato le mogli a fare altrettanto. 

Sung era un falegname 'di strada': non aveva una dimora fissa, ma andava di villaggio in villaggio, proponendo i suoi servizi. Aveva anni di esperienza e chi aveva visto i suoi prodotti, belli e durevoli, ma soprattutto delle vere e proprie opere d'arte, diceva che fosse un mago nel lavorare il legno. 

Quella mattina presto Sung si presentò al casolare di Wang.
«Vedo che avete una grande fattoria, ben tenuta e ricca di piante e campi lussureggianti. Mi chiamo Sung e sono un artigiano nomade: offro il mio lavoro là dove mi capita di andare. Vengo da lontano e sto scoprendo la vostra bella regione, girando per le campagne. Sono un falegname: riparo e costruisco manufatti in legno. Grandi e piccoli. Dicono che sappia fare bene il mio lavoro e se volete mettermi alla prova non vi deluderò.»

Wang, ancora arrabbiato per il diverbio con il fratello, liquidò l'artigiano in modo cortese ma sbrigativo.

Il falegname se ne stava andando quando venne richiamato.
«Forse c'è una cosa che puoi fare per me. Qui ho una catasta di legna. Vorrei che tu mi costruissi uno steccato alto due metri che mi ripari dalla vista del mio vicino che abita quella cascina a un miglio di fronte, dall'altra parte del fiume. Si tratta di mio fratello Peng: ci ho litigato una settimana fa e non voglio più averci niente a che fare.»

Wang gli raccontò dello scontro e Sung ascoltò con attenzione e partecipazione: stette zitto, ma non si capacitava di come una convivenza affettuosa tra fratelli, durata tanti anni, potesse essere rotta da una discussione tanto futile su un trattore che all'improvviso aveva fuso il motore.
«Vedrò cosa posso fare», assicurò il falegname. «Se tu devi andare in città per sbrigare i tuoi affari, stasera al tuo rientro valuterai il lavoro».

Il falegname impiegò tutta la giornata per terminare la sua opera.
All'imbrunire, Wang rientrò dal mercato e corse subito a controllare se il falegname aveva costruito lo steccato.

Non trovava le parole.
Al posto dello steccato, un piccolo ponte sul fiume univa i casolari dei due fratelli: con una gobba al centro, tanti piccoli intagli di animali e fiori sui corrimani, molti colori sgargianti sulle fiancate. Davvero un'opera d'arte.

Wang fissò Sung in faccia con uno sguardo interrogativo.
Il suo viso era corrucciato, la voce burbera.
«Ti avevo chiesto uno steccato alto due metri. Mi pare che non ci siamo capiti.»
Il falegname annuì.
«Hai ragione. Ho disubbidito. Se me lo ordini, domani distruggo tutto e al posto del ponticello alzerò lo steccato».

Proprio in quel momento ambedue furono distratti da una voce, prima lontana e poi sempre più vicina, che continuava a urlare il nome di Wang.
Ora proveniva dal ponticello. 
Era Peng. 
Ci stava correndo sopra per avvicinarsi più in fretta possibile al fratello. 
Che, incredulo, finì soffocato da un abbraccio mai ricevuto così forte.

«Mi vergogno», disse Peng a Wang quando smise di abbracciare il fratello. 
«Dopo tutte le cose inutilmente cattive che ci siamo detti, tu sei riuscito a dimenticare: figurati che io stavo per costruire un muro per non vedere più la tua fattoria. Tu invece hai pensato di far costruire un ponte.»

Sung, in silenzio, raccoglieva i suoi attrezzi e si era messo lo zaino in spalla.

Wang, ancora sconvolto per come si era conclusa la giornata, ma finalmente felice per aver recuperato il rapporto con il fratello, aveva estratto il portafoglio dalla tasca.
«Chiameremo con il tuo nome, Sung, il ponticello che hai costruito, così il ricordo di te resterà sempre tra noi due fratelli. Ma ora dimmi il compenso per questo piccolo gioiello che ha riunito le nostre famiglie». 

Il falegname sorrise. 
«Il valore di un ponte non ha prezzo: anche il più modesto è sempre un gioiello, perché mette in comunicazione persone, animali, cose. Ma sono felice che la mia opera sia stata apprezzata e anch'io ricorderò il vostro abbraccio di oggi. Quanto al compenso, quando costruisco ponti, le mie ore di lavoro sono uguali alle vostre spese nei campi per seminare e produrre frutti: mi sentirei un ladro a chiedere di più. Vi auguro buona vita, fratelli». 

Wang e Peng furono tentati di litigare: Peng voleva assolutamente condividere la cifra pagata al falegname e Wang ribatteva che l'idea era stata sua e quindi spettava a lui.
Poi, com'era ovvio, decisero di fare a metà.

*** Massimo Ferrario, Il ponticello, per Mixtura. Libera riscrittura di un testo diffuso in internet.


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