Si dice che le mosche abbiano occhi che permettono di vedere a 360 gradi. Noi umani no: abbiamo un arco visivo ben più limitato e siamo abituati a inquadrare solo una parte della realtà che ci circonda.
È un peccato, come mostra l’immagine qui sopra, che ritrae un uomo che guarda con attenzione un fiorellino in fondo a un dirupo. Lo immaginiamo ammirato e stupito. Eppure dietro a lui, ben più vicini e accessibili, ci sono altri fiorellini, ben più numerosi. Basterebbe che si voltasse per scoprirli, ma non lo fa: non ha occhi da mosca e non è uso a guardarsi in giro.
Perché dico tutto ciò? Per tre motivi. Il primo è che la realtà è più ricca e vasta di quel che osserviamo col nostro sguardo pigro.
Il secondo motivo ha a che fare col diffuso deficit di curiosità, che fa sì che noi interagiamo solo con quel che il caso o le autorità o gli algoritmi ci pongono davanti.
Il terzo rinvia alla rivoluzione, al mutamento cercato: spesso, come diceva Marx, per vivere in modo pieno e per cambiare il mondo non dobbiamo guardare molto lontano o credere ai giochi di prestigio del potere (quelli che i suoi contemporanei chiamavano – in italiano – trucchi da prestidigitatori): basta, come suggeriva il saggio di Treviri, che guardiamo con attenzione alla minuta realtà vicina, muovendo lo sguardo. In minimis omnia.
*** Enrico FINZI, ricercatore sociale, fondatore e direttore di 'Sòno human tuning', L'occhio della mosca, blog 'enricofinzi.it', 8 gennaio 2020, qui
disegno di Raffael Blumenberg
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