Oggigiorno chiunque si senta triste di tanto in tanto si dichiara subito sull’orlo della depressione. In realtà la scontentezza, l’infelicità o la tristezza momentanee non hanno niente a che fare con quella che è una vera depressione clinica, che porta a vedere tutto nero e a cancellare ogni speranza. Al contrario, passeggeri momenti di malinconia portano con sé una quantità di emozioni più intense, che non vanno trascurate: chi è malinconico è sensibile al mondo, lo vive e avverte con ogni organo di senso, riflette sulla vita e lavora su se stesso. Cerca di ampliare la propria anima e capacità di percezione. Diversamente da quanto accade nella vera depressione, nella malinconia non c’è proprio niente da guarire. Può fare molto bene lasciarsi andare a essa e concedersi di tanto in tanto un po’ di tempo per essere tristi. Anche la tristezza, quindi, ha un senso. E ce l’ha non solo per permettere di sperimentare la vita in tutta la sua ricchezza. “Don’t Worry, Be Sad!” è il provocatorio titolo con il quale lo psicologo Joseph Forgas dell’Università del Nuovo Galles del Sud di Sydney riassume la ricerca attualmente in corso sulla tristezza. “Il mondo odierno si concentra unicamente sui vantaggi del benessere,” scrive il docente di Psicologia in un discorso a difesa della malinconia. Al contrario, l’umore abbattuto, la “disforia”, non solo è parte della vita quotidiana di ciascuno, ma è anche di per sé di fondamentale importanza.
*** Christina BERNDT, 1969, giornalista e saggista tedesca, La scienza della contentezza. Come raggiungerla e perché conviene più della felicità, Feltrinelli, 2017
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