lunedì 17 luglio 2017

#RITAGLI / Magistrati e politici (Piercamillo Davigo)

[D: Qual è oggi il rischio più grave per la magistratura italiana?]
Quello del carrierismo e quello del conformismo verso il potere politico, che il Csm dovrebbe arginare, non incentivare. Le nomine dei dirigenti degli uffici requirenti e giudicanti dovrebbero rispondere a criteri più chiari e stringenti e avvenire con procedure più trasparenti e comprensibili. Chi concorre a un incarico deve presentare un’auto-relazione, che poi viene confrontata con quelle degli altri per la scelta finale del Csm. Ecco, queste relazioni devono essere online, a disposizione di tutti. Per un’esigenza profilattica: così uno evita di tessere lodi infondate o esagerate di se stesso; chi vota per lui risponderà della sua scelta a tutta la magistratura e ai cittadini; e tutti capiranno se il Csm ha scelto il più bravo oppure no. Non c’è privacy che tenga. Oggi purtroppo non è così, il che provoca una crescente disaffezione dei magistrati verso il loro organo di autogoverno: io vengo accusato di colpire il Csm, mentre voglio difenderlo, aiutandolo a evitare errori. (...)

[D: Renzi scrive anche (nel suo libro 'Avanti', n.d.r.) che lei non sa cos’è il garantismo, non conosce Cesare Beccaria. Le rinfaccia una frase di Giovanni Falcone contro i “khomeinisti” della “cultura del sospetto”. E le rammenta che, per decidere se uno è colpevole o innocente, bisogna attendere la sentenza definitiva]
Deve avere le idee molto confuse. Io, come tutti i magistrati, non mi sognerei mai di condannare qualcuno sapendolo innocente, perché sono stato educato alla cultura della prova. Noi magistrati esistiamo proprio per distinguere fra colpevoli e innocenti. Ma sappiamo anche che non sono le sentenze che debbono selezionare la classe dirigente e politica: è la politica che deve fare le sue valutazioni autonome sul materiale giudiziario e decidere se certe condotte già dimostrate in fase di indagine, a prescindere dalla rilevanza penale, sono compatibili o meno con la “disciplina” e “l’onore” richiesti dall’art. 54 della Costituzione a chi ricopre pubbliche funzioni. Per mandare in carcere qualcuno a espiare la pena, ci vuole la condanna definitiva. Ma per mandarlo a casa, a volte non c’è bisogno nemmeno della condanna di primo grado. Anzi, non c’è neppure bisogno dell’accusa: basta la sua difesa.

[D: Addirittura?]
Certo. Certi politici si difendono in modo talmente vergognoso che andrebbero mandati a casa solo per quello. Prenda quel dirigente di una Asl lombarda accusato di mafia (e poi condannato) che, quando emersero le sue intercettazioni, si difese dicendo: “Io fin da ragazzo mi diverto a sembrare un mafioso”. C’è bisogno della condanna, per cacciarlo? Ecco: se i politici facessero pulizia al loro interno quando vengono a sapere cose del genere, le nostre indagini e sentenze non creerebbero alcuna tensione fra giustizia e politica, perché noi processeremmo solo degli “ex”. Invece se li tengono tutti fino alla condanna definitiva, e spesso anche dopo. (...)

*** Piercamillo DAVIGO, magistrato, intervistato da Marco Travaglio, Davigo: “Renzi è confuso. Per cacciare un politico basta la sua difesa”, 'ilfattoquotidiano.it', 16 luglio 2017

LINK intervista integrale qui


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