I sociologi Timo Vuori e Quy Huy hanno dedicato alla Nokia uno studio molto approfondito, che evidenzia un fattore determinante per la perdita di valore dell’azienda: l’esagerata cultura dell’ottimismo. I quadri erano molto restii a dare cattive notizie, perché ciò li avrebbe potuti mettere in cattiva luce. I dipendenti si astenevano dal porre domande critiche. Nessuno voleva essere considerato un guastafeste. Avere dei dubbi su ciò che si faceva era considerato una mancanza di coinvolgimento aziendale. I dipendenti sapevano che bisognava riportare ai superiori soltanto i successi, se si voleva che alle unità produttive fosse permesso di continuare a operare. Come risultato i dirigenti, che tendevano a sostituire i critici con gli ottimisti, si fecero inebriare da questo afflusso costante di buone notizie. Così le aspettative divennero esagerate, l’azienda si impegnò a rispettare scadenze e progetti poco realistici e i prodotti che dovevano contrastare l’iPhone di Apple arrivarono sul mercato in ritardo o con qualità non ottimale.
*** André SPICER, coautore con Mats Alvesson, di Il paradosso della stupidità, Cortina, 2016, in Giuliano Aluffi, giornalista, La stupidità obbligatoria che affossa le aziende, ‘Il Venerdì’, 22 luglio 2016.
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Durante gli interventi di formazione o consulenza organizzativa L. Pagliarani era solito chiedere ai responsabili aziendali: "Ci sono conflitti qui?". Quando rispondevano : "No. Qui non ci sono conflitti!" era segno che c'era da lavorare. E molto. Il recente caso Nokia lo conferma. Abbiam sempre più bisogno di una cultura del conflitto!
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