L'auto, una berlina lussuosa, arrivò piano e si fermò qualche metro prima del semaforo rosso.
L'immigrato attendeva all'incrocio.
L'immigrato attendeva all'incrocio.
Conosceva la tecnica: lui si sarebbe avvicinato, cortese e sorridente, facendo capire che avrebbe pulito il parabrezza, e il guidatore, sempre con il finestrino ermeticamente chiuso, avrebbe fatto avanzare di poco le ruote per sfuggirgli, scuotendo la testa e già pronto a inveire, urlando il suo no e accompagnandolo con il dito minaccioso.
E pure stavolta addio centesimi: sempre pochi, ma preziosi.
E pure stavolta addio centesimi: sempre pochi, ma preziosi.
Invece, a differenza del solito, il finestrino dalla parte del guidatore era completamente abbassato.
Al volante, un signore distinto, con giacca e cravatta: serio, ma all'apparenza non scontroso.
Non fece il giochino di spostare avanti la macchina e non rialzò il finestrino.
L'immigrato notò che il parabrezza era perfettamente pulito. Tutta l'auto brillava, come fosse stata appena lavata e incerata: neppure un granello di polvere sugli almeno duecentomila euro viaggianti.
Allora tranquillizzò il signore ponendo subito a terra, visibilmente, la bottiglietta del liquido e la canna pulivetro. Poi passò davanti all'auto e rimase ritto in piedi, a mani vuote e a debita distanza, di fronte al finestrino abbassato, osservando il guidatore. Il signore aveva gli occhi fissi innanzi a sé: forse per escluderlo alla vista o forse, più probabilmente, perché era preso dai suoi pensieri.
L'immigrato non mangiava da due giorni.
Teneva alla sua dignità: si piegava a chiedere la carità proprio quando non ce la faceva più a resistere ai morsi della fame e almeno finora si era sempre rifiutato di rubare.
Sentì la sua voce parlare quasi in automatico.
Senza quel birignao lamentoso e supplichevole di tanti suoi colleghi, si trovò a dire: «Ho fame, signore. Se mi dà qualcosa per un panino, le dico grazie».
Teneva alla sua dignità: si piegava a chiedere la carità proprio quando non ce la faceva più a resistere ai morsi della fame e almeno finora si era sempre rifiutato di rubare.
Sentì la sua voce parlare quasi in automatico.
Senza quel birignao lamentoso e supplichevole di tanti suoi colleghi, si trovò a dire: «Ho fame, signore. Se mi dà qualcosa per un panino, le dico grazie».
Il signore volse gli occhi sull'immigrato: aveva una camicia sporca e un paio di pantaloni consunti e slabbrati, il corpo magro, le occhiaie su una faccia smunta.
Qualche volta si sentiva in colpa per l'incredibile quantità di denaro di cui disponeva: aveva sempre lavorato sodo, ma riconosceva che il successo ottenuto l'aveva pagato con continui cedimenti, compromessi, intrallazzi.
Ogni tanto ci pensava: poi scacciava subito il pensiero.
Qualche volta si sentiva in colpa per l'incredibile quantità di denaro di cui disponeva: aveva sempre lavorato sodo, ma riconosceva che il successo ottenuto l'aveva pagato con continui cedimenti, compromessi, intrallazzi.
Ogni tanto ci pensava: poi scacciava subito il pensiero.
L'immigrato aspettava. Ma senza trasmettere insistenza.
«Ma 'davvero' hai fame?», chiese il signore. La domanda era sincera: non voleva essere sfottente e faceva immaginare il desiderio di instaurare un mini-dialogo, pur nei tempi stretti di un semaforo.
«Sì, signore. So che è spesso una scusa per impietosire. Ma non mangio da due giorni».
L'uomo distinto notò la pronuncia e la proprietà di linguaggio.
«Sembri uno che ha studiato. Da dove vieni?»
«Dal Senegal. Sono laureato. Ho lasciato la famiglia al mio paese. Non ho un lavoro»
Il signore ricordò le prediche domenicali del parroco.
Volle accertarsi di che tipo fosse l'immigrato.
«Ma se io ti do qualche soldo, non te li vai a bere?»
«No, signore. Ho smesso da tempo. Sia perché ho deciso di essere un bravo musulmano osservante e sia perché sono sempre a corto di soldi.»
«E non li spenderai in sigarette?»
«No signore. Non fumo più. Le sigarette costano.»
«E giocare... Hai il vizio di fare scommesse? O di buttare i soldi alle macchinette?»
«Da ragazzo qualche volta. Ora non più. Ho capito che si perde sempre».
«E donne...? Non vai a donne?»
«Ne avrei voglia. Sono in Italia da oltre un anno. Ma resto fedele a mia moglie. Non la tradirei mai.»
Il semaforo era passato al verde. Un colpo di clacson fece capire che qualcuno si era spazientito e voleva che si procedesse.
Il signore ordinò all'immigrato di prendere posto in macchina.
«Subito, dai. Gira dall'altra parte e salta su».
L'immigrato obbedì senza capire.
Aprì la portiera e si accomodò di fianco al signore.
«Intanto eccoti cinquanta euro. Poi ti porto a casa mia. E' ora di pranzo: così ti fai un pasto come si deve e conosci mia moglie»
L'immigrato era confuso.
«Ma veramente...».
«Che c'è, non ti va? In casa abbiamo una cuoca: alta cucina. Vedrai, ti farai una grande mangiata e ti toglierai la voglia per un po'.»
«Sì, lo immagino. Anzi, non so come ringraziarla. Non me lo aspettavo... E' solo che...»
«E' solo che...?»
«Lei vede come sono vestito: sporco, stracciato, con la barba sfatta da giorni, i capelli arruffati... Costretto a pulire i vetri agli incroci per pochi centesimi. E spesso a subire gli insulti degli automobilisti. Cosa dirà sua moglie nel vedere che lei si porta in casa una persona così conciata?»
«Francamente non lo so».
«Ecco, vede, appunto. Guardi, mi lasci qui, al prossimo semaforo».
«Niente affatto. E' deciso. E tu non ti preoccupare. Non mi capita spesso di fare delle buone azioni. E poi, prima di sederti a tavola, basta che ti dai una lavata in bagno. Ne abbiamo tre: avrai solo l'imbarazzo della scelta...».
Così avvenne.
L'immigrato sedette a tavola con il signore e la moglie e si fece una mangiata che si sarebbe ricordato a lungo.
Quando si congedò non finiva più di ringraziare.
La moglie per la verità non aveva capito questa strana generosità del marito e cercò di indagare.
«Non mi dirai che ti sono venuti degli scrupoli di coscienza: metteresti a repentaglio il lavoro che fai e dovremmo cominciare a pensare di cambiare tenore di vita».
Il marito finse indignazione.
«Perché? Anch'io, in fondo, ho un cuore».
Lei proruppe in una risata.
«Sì, come tutti. Solo che il tuo è pure malato e non te lo curi. Non me la fai. Dimmi perché mi hai fatto conoscere quella persona».
«Sì, come tutti. Solo che il tuo è pure malato e non te lo curi. Non me la fai. Dimmi perché mi hai fatto conoscere quella persona».
«Lo vuoi proprio sapere?»
«Non mi dirai che è un tuo amico d'affari travestito...»
«No di certo. E' quello che è. Uno che non ha in tasca un centesimo e pulisce i vetri al semaforo».
«Quindi?».
«A tavola l'ha detto. Non beve, non fuma, non gioca ed è fedele a sua moglie».
La donna cominciava ad esasperarsi.
«Continuo a non capire».
Il marito sorrise.
«Semplice, mi pare. Io non sono un barbone. E grazie a questo, come anche tu un minuto fa hai gentilmente ricordato, abbiamo una vita agiata che ci permette di soddisfare ogni capriccio».
La moglie alzò gli occhi al cielo.
«E c'era bisogno di portarmi a casa quell'uomo per dirmi una cosa tanto stupida? Certo che non sei un barbone. Ci mancherebbe pure questa...»
«Eppure...» commentò lui, lasciando il pensiero in sospeso.
Lei strabuzzò gli occhi.
«Eppure cosa? Sei uscito di testa, per caso?».
L'uomo fece passare alcuni secondi perché la donna lo incalzasse.
E infatti lei perse la pazienza.
«Per l'ultima volta ti vuoi decidere a smettere di fare il misterioso e spiegarmi perché mi hai portato a pranzo quell'uomo?»
Lui fece cenno che le avrebbe svelato l'arcano.
Prima però prese dal mobile una bottiglia pregiata di un rum pressoché introvabile in Italia e se ne versò un bicchiere abbondante, poi si accese un magnifico sigaro cubano, aspirandolo con voluttà e lasciandosi cadere nella sua poltrona preferita.
Quindi fissò la moglie negli occhi, con sguardo malizioso.
«Non sei forse tu che mi fai sempre scenate impossibili perché bevo, fumo, vado al casinò e ogni tanto mi lascio andare a qualche innocente scappatella? E non sei sempre tu che ogni tanto mi prendi in giro, più o meno bonariamente, per i miei modi spicci e non sempre cristallini di fare affari?».
«Sì, sono io. E ti risparmio la scenata che ti meriteresti anche adesso solo perché sono curiosa di capire dove vuoi arrivare: con tutti i problemi di cuore che sai di avere, ti stai facendo fuori l'ennesima bottiglia di alcol e l'ennesima scatola di sigari...».
In quel momento il marito era il ritratto della benevolenza.
Aveva gli occhi fiammeggianti: con pacatezza scandì le parole.
«Cara, quell'uomo non beve, non fuma, non gioca ed è fedele a sua moglie che non vede da anni. Non solo: ci ha detto che non ha mai rubato un euro, neppure quando ha avuto fame e nessuno gli faceva la carità.»
Fece una pausa, studiata.
La moglie ebbe un moto di fastidio.
«Caro, invecchi: ti ripeti e io non sono sorda. L'ha detto lui a tavola e me l'hai ripetuto tu un secondo fa. D'accordo, abbiamo conosciuto la virtù in persona. E con questo? Fatti suoi, mi pare.»
«Certo, fatti suoi. Però, cara, io mi preoccupo per te».
La donna strabuzzò gli occhi.
«Ti preoccupi per me? E io che c'entro, scusa?».
«Quest'attico, le case di St Moritz e di Santa, i vestiti firmati, le carte di credito senza limite... Sarebbe un peccato rinunciarvi.»
«E perché dovremmo rinunciarvi?»
«Appunto».
Lui attese qualche secondo.
Lei lo fissava, sempre più infastidita per i suoi arzigogoli.
Finalmente lui concluse:
«E' che... sì, insomma, ti ho fatto conoscere uno che ha tutti i requisiti virtuosi di cui tu in me lamenti la mancanza. Per carità, è un esempio, un caso: non voglio generalizzare e trarre conclusioni automatiche. Ma ti sottopongo un dubbio che sono sicuro può interessare anche te, almeno finché decidiamo di stare insieme e di condividere i ricchi e abbondanti agi di cui godiamo: perché correre il rischio, se pur minimo, che io, diventando come tu ogni giorno mi dici di volere, possa ritrovarmi a fare il lavavetri agli incroci?».
*** Massimo Ferrario, Il lavavetri al semaforo, per Mixtura, 2016-2017. Riscrittura di una storiella diffusa in internet.
La moglie alzò gli occhi al cielo.
«E c'era bisogno di portarmi a casa quell'uomo per dirmi una cosa tanto stupida? Certo che non sei un barbone. Ci mancherebbe pure questa...»
«Eppure...» commentò lui, lasciando il pensiero in sospeso.
Lei strabuzzò gli occhi.
«Eppure cosa? Sei uscito di testa, per caso?».
L'uomo fece passare alcuni secondi perché la donna lo incalzasse.
E infatti lei perse la pazienza.
«Per l'ultima volta ti vuoi decidere a smettere di fare il misterioso e spiegarmi perché mi hai portato a pranzo quell'uomo?»
Lui fece cenno che le avrebbe svelato l'arcano.
Prima però prese dal mobile una bottiglia pregiata di un rum pressoché introvabile in Italia e se ne versò un bicchiere abbondante, poi si accese un magnifico sigaro cubano, aspirandolo con voluttà e lasciandosi cadere nella sua poltrona preferita.
Quindi fissò la moglie negli occhi, con sguardo malizioso.
«Non sei forse tu che mi fai sempre scenate impossibili perché bevo, fumo, vado al casinò e ogni tanto mi lascio andare a qualche innocente scappatella? E non sei sempre tu che ogni tanto mi prendi in giro, più o meno bonariamente, per i miei modi spicci e non sempre cristallini di fare affari?».
«Sì, sono io. E ti risparmio la scenata che ti meriteresti anche adesso solo perché sono curiosa di capire dove vuoi arrivare: con tutti i problemi di cuore che sai di avere, ti stai facendo fuori l'ennesima bottiglia di alcol e l'ennesima scatola di sigari...».
In quel momento il marito era il ritratto della benevolenza.
Aveva gli occhi fiammeggianti: con pacatezza scandì le parole.
«Cara, quell'uomo non beve, non fuma, non gioca ed è fedele a sua moglie che non vede da anni. Non solo: ci ha detto che non ha mai rubato un euro, neppure quando ha avuto fame e nessuno gli faceva la carità.»
Fece una pausa, studiata.
La moglie ebbe un moto di fastidio.
«Caro, invecchi: ti ripeti e io non sono sorda. L'ha detto lui a tavola e me l'hai ripetuto tu un secondo fa. D'accordo, abbiamo conosciuto la virtù in persona. E con questo? Fatti suoi, mi pare.»
«Certo, fatti suoi. Però, cara, io mi preoccupo per te».
La donna strabuzzò gli occhi.
«Ti preoccupi per me? E io che c'entro, scusa?».
«Quest'attico, le case di St Moritz e di Santa, i vestiti firmati, le carte di credito senza limite... Sarebbe un peccato rinunciarvi.»
«E perché dovremmo rinunciarvi?»
«Appunto».
Lui attese qualche secondo.
Lei lo fissava, sempre più infastidita per i suoi arzigogoli.
Finalmente lui concluse:
«E' che... sì, insomma, ti ho fatto conoscere uno che ha tutti i requisiti virtuosi di cui tu in me lamenti la mancanza. Per carità, è un esempio, un caso: non voglio generalizzare e trarre conclusioni automatiche. Ma ti sottopongo un dubbio che sono sicuro può interessare anche te, almeno finché decidiamo di stare insieme e di condividere i ricchi e abbondanti agi di cui godiamo: perché correre il rischio, se pur minimo, che io, diventando come tu ogni giorno mi dici di volere, possa ritrovarmi a fare il lavavetri agli incroci?».
*** Massimo Ferrario, Il lavavetri al semaforo, per Mixtura, 2016-2017. Riscrittura di una storiella diffusa in internet.
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