Federico RAMPINI
"Banche: possiamo ancora fidarci?"
Mondadori, 2016
pagine 123, € 15,00, ebook € 8,99
Un saggio chiaro, agile, snello, in linea con le tante opere precedenti di Federico Rampini, che indaga con costanza e regolarità, su 'la Repubblica' e nei libri, i temi cruciali, sempre più globali, da cui il pianeta è attraversato.
Come sempre, lo sguardo critico e problematico si unisce a una raccolta rigorosa e impietosa di fatti: impossibile non apprendere qualcosa di nuovo, o comunque non ritrovarsi positivamente riordinate, alla luce dei tanti elementi proposti, le nostre visioni e convinzioni.
Stavolta, il fuoco è sul mondo dell'economia e della finanza, visto anche al di là del nostro piccolo contesto italiano. Dunque una ricerca che tocca tutti: sia quelli che hanno in qualche modo a che fare con le banche per i loro risparmi, sia quelli che i risparmi non riescono a farseli perché arrivano a fatica a fine mese. I primi possono acquisire qualche elemento utile per essere più preparati nel decidere i loro investimenti, diminuendo le probabilità di venire turlupinati, come troppo spesso continua ad accadere; e i secondi, benché forse possa essere una magra consolazione, hanno modo di meglio capire perché sia così difficile far soldi se non si è già tra quelli che ce li hanno in abbondanza.
Alla domanda del titolo (Banche: possiamo ancora fidarci?) viene data risposta precisa nelle ultime pagine, ma si tratta di punti riassuntivi, tutti anticipati, con ampiezza di documentazione e supporto di fatti e teorie empiricamente fondate, nelle pagine precedenti.
La conclusione, e non si svela certo un finale sorprendente, è pessimistica. Forse, in Italia come altrove, la fiducia nei banchieri (già definiti da Rampini, anche in libri precedenti, come "i grandi banditi del nostro tempo") è ancora tutta da conquistare. E ciò che pure dopo la Grande Contrazione del 2008 è accaduto (per esempio, in Italia, nel 2015, il fallimento di più di una banca locale) dimostra che la lezione del passato non è stata appresa. Non solo in Italia, né le banche, né le autorità chiamate a controllare, né la politica che dovrebbe approntare leggi aggiornate ai tempi, hanno provveduto a imporre la sempre decantata trasparenza e a impedire comportamenti truffaldini, anche intervenendo in chiave repressiva con sanzioni penali individuali: le uniche forse, se poi effettivamente attuate, capaci di dissuadere dal ricommettere reati.
In sostanza, una denuncia dura, ma argomentata, che sembra dar corpo e ragione a chi, già nel secolo scorso, si chiedeva provocatoriamente cosa fosse 'rapinare una banca rispetto al fondarla' (Bertolt Brecht): sembrava una battuta paradossale, piena solo di ideologia anticapitalistica, ma il nostro secolo, dati alla mano, si sta incaricando di riempirla di realtà.
Eppure, proprio nelle pagine finali del libro, uno spiraglio parrebbe aprirsi, se non altro in chiave di riferimento esemplare. Se solo recuperassimo la figura di Amadeo Giannini, un genovese emigrato a San Francisco, ai primi del 900, forse torneremmo a pensare (noi tutti, ma banchieri, economisti e politici in primis) al vero e originario compito e scopo primario di banche e banchieri e avremmo la forza, se non di azzerare, almeno di contenere le derive perverse del 'finanzismo' arrembante. Fu lui, infatti, ci ricorda Rampini, che dopo il terribile terremoto del 1906, recuperò con le sue mani sotto le macerie i forzieri della Bank of Italy, da lui fondata due anni prima, e con i soldi caricati su un carretto e custoditi a casa sua si mise direttamente a dare credito al popolo minuto di negozianti e artigiani, facendo rinascere l'economia di quella città. Quella banca oggi si chiama Bank of America e se San Francisco oggi è ciò che è, probabilmente un piccolo merito è anche suo.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
https://it.wikipedia.org/wiki/Federico_Rampini
«
Due dati s’impongono alla nostra attenzione. Il primo riguarda il gigantismo della finanza, altrettanto mostruoso oggi di quanto lo era alla vigilia dell’ultimo crac. Strumenti altamente speculativi come i derivati valgono oggi 550.000 miliardi di dollari, una cifra talmente abnorme che gli americani, per risparmiare gli zeri, parlano ormai di 550 «trilioni». Se si aggiungono 86.000 miliardi di dollari di obbligazioni, e 60.000 miliardi di capitalizzazione delle azioni nelle Borse mondiali, il totale dei titoli finanziari esistenti sfiora i 700.000 miliardi. Cioè nove volte il Prodotto interno lordo di tutto il pianeta. La finanza non è «al servizio» dell’economia reale, al contrario la sovrasta, la comanda.
Il secondo dato riguarda la nuova manovra lanciata dalla Banca centrale europea presieduta da Mario Draghi il 10 marzo 2016: fra le altre cose, include 1700 miliardi di euro di nuovi crediti concessi alle banche commerciali a condizioni eccezionalmente generose. Di questi, 320 miliardi in quattro anni sono dedicati alle banche italiane, con un trattamento di grande favore che non ha precedenti nella storia, perché Draghi «paga» le banche italiane purché facciano prestiti alle famiglie e alle imprese. Il profitto netto per le banche italiane, se usano questa opportunità, è di 5 miliardi. Una manna dal cielo sui bilanci delle banche. Sapranno finalmente restituire il favore al resto del paese? (Federico Rampini, "Banche: possiamo ancora fidarci?", Mondadori, 2016)
Le banche italiane hanno ricevuto aiuti consistenti dalla Bce di Draghi, dell’ordine di 250 miliardi. Ma questi aiuti non li hanno restituiti al paese, se non in minima parte. La penuria di credito, lo dice anche la Banca d’Italia, è stata per anni uno degli elementi di freno alla ripresa. (Federico Rampini, "Banche: possiamo ancora fidarci?", Mondadori, 2016)
Il primo problema è la cultura finanziaria del risparmiatore italiano: è molto lacunosa, è tra le più basse d’Europa, anche perché nessuno ha veramente cercato di migliorarla. Il secondo problema è la cultura finanziaria dell’impiegato bancario allo sportello: è modesta pure quella, perché le banche lo considerano un esecutore di ordini venuti dall’alto. Terzo problema: il conflitto d’interesse della banca, che sostiene di voler tutelare il suo cliente, ma in realtà lo raggira procurandosi capitale di rischio senza dirglielo. Quarto e ultimo: chi vigila sulle banche? La Banca d’Italia ha collezionato sviste, ritardi, errori. Gli infortuni della vigilanza istituzionale riempiono libri della storia economica italiana. In America, dalla crisi del 2008 (mutui subprime) hanno tratto la conclusione che bisognava creare un’authority federale apposita, solo per proteggere il risparmiatore che acquista prodotti finanziari. Non dico che sia un rimedio miracoloso. Ma è meglio della situazione italiana attuale. Che è stata così riassunta da un altro economista, Luigi Guiso, sul sito lavoce.info: «È un fatto noto e documentato dalla Consob che un’obbligazione emessa da una banca e collocata direttamente presso la propria clientela tende a rendere (molto) meno della stessa obbligazione collocata presso investitori sofisticati. E spesso rende meno di un titolo del debito pubblico, che non ha rischio di fallimento comparabile ed è facilmente liquidabile». Dunque la Consob che vigila sulla Borsa ha «documentato» che a volte le obbligazioni bancarie non solo sono meno sicure ma addirittura rendono meno dei titoli emessi dallo Stato italiano.
Tradotto in termini (miei) solo un po’ più brutali: è un fatto noto e documentato che le banche italiane rifilano questi bidoni ai propri clienti – e stiamo parlando di 74 miliardi – senza spiegargli che li stanno ingannando, e che quei risparmi potrebbero essere investiti molto meglio, in titoli più solidi, spesso perfino con un tasso d’interesse superiore. (Federico Rampini, "Banche: possiamo ancora fidarci?", Mondadori, 2016)
Stavolta, il fuoco è sul mondo dell'economia e della finanza, visto anche al di là del nostro piccolo contesto italiano. Dunque una ricerca che tocca tutti: sia quelli che hanno in qualche modo a che fare con le banche per i loro risparmi, sia quelli che i risparmi non riescono a farseli perché arrivano a fatica a fine mese. I primi possono acquisire qualche elemento utile per essere più preparati nel decidere i loro investimenti, diminuendo le probabilità di venire turlupinati, come troppo spesso continua ad accadere; e i secondi, benché forse possa essere una magra consolazione, hanno modo di meglio capire perché sia così difficile far soldi se non si è già tra quelli che ce li hanno in abbondanza.
Alla domanda del titolo (Banche: possiamo ancora fidarci?) viene data risposta precisa nelle ultime pagine, ma si tratta di punti riassuntivi, tutti anticipati, con ampiezza di documentazione e supporto di fatti e teorie empiricamente fondate, nelle pagine precedenti.
La conclusione, e non si svela certo un finale sorprendente, è pessimistica. Forse, in Italia come altrove, la fiducia nei banchieri (già definiti da Rampini, anche in libri precedenti, come "i grandi banditi del nostro tempo") è ancora tutta da conquistare. E ciò che pure dopo la Grande Contrazione del 2008 è accaduto (per esempio, in Italia, nel 2015, il fallimento di più di una banca locale) dimostra che la lezione del passato non è stata appresa. Non solo in Italia, né le banche, né le autorità chiamate a controllare, né la politica che dovrebbe approntare leggi aggiornate ai tempi, hanno provveduto a imporre la sempre decantata trasparenza e a impedire comportamenti truffaldini, anche intervenendo in chiave repressiva con sanzioni penali individuali: le uniche forse, se poi effettivamente attuate, capaci di dissuadere dal ricommettere reati.
In sostanza, una denuncia dura, ma argomentata, che sembra dar corpo e ragione a chi, già nel secolo scorso, si chiedeva provocatoriamente cosa fosse 'rapinare una banca rispetto al fondarla' (Bertolt Brecht): sembrava una battuta paradossale, piena solo di ideologia anticapitalistica, ma il nostro secolo, dati alla mano, si sta incaricando di riempirla di realtà.
Eppure, proprio nelle pagine finali del libro, uno spiraglio parrebbe aprirsi, se non altro in chiave di riferimento esemplare. Se solo recuperassimo la figura di Amadeo Giannini, un genovese emigrato a San Francisco, ai primi del 900, forse torneremmo a pensare (noi tutti, ma banchieri, economisti e politici in primis) al vero e originario compito e scopo primario di banche e banchieri e avremmo la forza, se non di azzerare, almeno di contenere le derive perverse del 'finanzismo' arrembante. Fu lui, infatti, ci ricorda Rampini, che dopo il terribile terremoto del 1906, recuperò con le sue mani sotto le macerie i forzieri della Bank of Italy, da lui fondata due anni prima, e con i soldi caricati su un carretto e custoditi a casa sua si mise direttamente a dare credito al popolo minuto di negozianti e artigiani, facendo rinascere l'economia di quella città. Quella banca oggi si chiama Bank of America e se San Francisco oggi è ciò che è, probabilmente un piccolo merito è anche suo.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
https://it.wikipedia.org/wiki/Federico_Rampini
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Due dati s’impongono alla nostra attenzione. Il primo riguarda il gigantismo della finanza, altrettanto mostruoso oggi di quanto lo era alla vigilia dell’ultimo crac. Strumenti altamente speculativi come i derivati valgono oggi 550.000 miliardi di dollari, una cifra talmente abnorme che gli americani, per risparmiare gli zeri, parlano ormai di 550 «trilioni». Se si aggiungono 86.000 miliardi di dollari di obbligazioni, e 60.000 miliardi di capitalizzazione delle azioni nelle Borse mondiali, il totale dei titoli finanziari esistenti sfiora i 700.000 miliardi. Cioè nove volte il Prodotto interno lordo di tutto il pianeta. La finanza non è «al servizio» dell’economia reale, al contrario la sovrasta, la comanda.
Il secondo dato riguarda la nuova manovra lanciata dalla Banca centrale europea presieduta da Mario Draghi il 10 marzo 2016: fra le altre cose, include 1700 miliardi di euro di nuovi crediti concessi alle banche commerciali a condizioni eccezionalmente generose. Di questi, 320 miliardi in quattro anni sono dedicati alle banche italiane, con un trattamento di grande favore che non ha precedenti nella storia, perché Draghi «paga» le banche italiane purché facciano prestiti alle famiglie e alle imprese. Il profitto netto per le banche italiane, se usano questa opportunità, è di 5 miliardi. Una manna dal cielo sui bilanci delle banche. Sapranno finalmente restituire il favore al resto del paese? (Federico Rampini, "Banche: possiamo ancora fidarci?", Mondadori, 2016)
Le banche italiane hanno ricevuto aiuti consistenti dalla Bce di Draghi, dell’ordine di 250 miliardi. Ma questi aiuti non li hanno restituiti al paese, se non in minima parte. La penuria di credito, lo dice anche la Banca d’Italia, è stata per anni uno degli elementi di freno alla ripresa. (Federico Rampini, "Banche: possiamo ancora fidarci?", Mondadori, 2016)
Tradotto in termini (miei) solo un po’ più brutali: è un fatto noto e documentato che le banche italiane rifilano questi bidoni ai propri clienti – e stiamo parlando di 74 miliardi – senza spiegargli che li stanno ingannando, e che quei risparmi potrebbero essere investiti molto meglio, in titoli più solidi, spesso perfino con un tasso d’interesse superiore. (Federico Rampini, "Banche: possiamo ancora fidarci?", Mondadori, 2016)
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In mixtura altri 5 contributi di Federico Rampini (comprese due mie recensioni ai suoi libri precedenti: "L'età del Caos, Mondadori, 2015 e "Rete padrona", Modadori, 2014), qui
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