Quel giorno il vecchio monaco incontrò un giovane cavaliere.
Da anni, ogni mattina all'alba, percorreva la piccola stradina.
A qualche miglia dal convento, si diramava un viottolo, che conduceva alla fonte di acqua cristallina, a cui faceva rifornimento.
Poi la stradina proseguiva, anche superando a zig zag una piccola collina: per giungere al paese, occorrevano almeno otto ore di cammino, ma lui c'era stato una sola volta nella vita. La confusione lo aveva frastornato e aveva giurato che non vi avrebbe rimesso più piede. Del resto, al monastero l'orto dava tutto quello che serviva e nulla era più adatto per la meditazione che la cella individuale o l'ombra silenziosa del chiostro.
A quell'ora, la campagna si risvegliava assetata e da mesi sembrava implorare il cielo che mandasse qualche goccia di pioggia: i campi ogni giorno cedevano quel po' di verde che restava alla terra brulla che avanzava, aggressiva e inesorabile.
Non era ancora tempo di temporali e comunque, quando sarebbero arrivati, sarebbero durati solo poche settimane: ma era quanto bastava per mostrare lo splendore dei campi con l'erba tenera appena germogliata che tremolava leggera al vento.
Un breve intervallo, però. Perché poi, di nuovo, per la maggior parte dell'anno, caldo bruciante e siccità erano padroni del paesaggio.
L'arrivo del giovane era stato preannunciato da una nuvola di polvere e dal rumore crescente di un galoppo.
Il vecchio monaco, con i due grandi secchi riempiti di acqua legati alle estremità della lunga canna che teneva sulle spalle, camminava lento, occupando l'intera larghezza della stradina.
Fissava l'orizzonte: non aveva più l'udito sensibile di una volta, ma gli occhi, ancora capaci di vedere lontano, gli avevano fatto notare subito, nel puntino che si ingrandiva, l'arrivo di qualcuno probabilmente a cavallo.
Non era una novità: il monastero era isolato, ma l'unico modo per giungere al mercato del paese più vicino era passare di lì e infatti, soprattutto da quando il paese aveva deciso di diventare città, intensificando gli affari commerciali, erano aumentati i forestieri di passaggio.
Il vecchio monaco fece spazio al cavaliere che si avvicinava, spostandosi il più possibile al margine della stradina: quando lo vide a pochi metri, si fermò, pronto a chinare il capo in segno di saluto e ad augurare buon viaggio.
Il giovane avanzava lento.
Poi tirò le redini e bloccò il cavallo, ritto in sella e con un sorriso che comunicava allegria e disponibilità.
«Salve, monaco.»
Il monaco congiunse le mani, rispondendo al saluto.
«Ti auguro buona vita, mio giovane cavaliere.»
«Cavalco da almeno un centinaio di miglia e sei la prima persona che incontro.»
«Sarai stanco, allora. Come vedi, il monastero in cui vivo è a pochi passi. Se hai bisogno di qualcosa, devi solo chiedere e sarò felice di soddisfarti. Immagino che tu stia andando al paese vicino. Hai ancora parecchia strada: se ti serve un po' di frescura e vuoi rifocillarti, sei il benvenuto.»
Il giovane era alto, atletico, aitante: un ciuffo, biondo e impolverato come la lunga barba, gli usciva dal cappellaccio.
«Grazie, monaco. Ma preferisco continuare. Ho impegni da sbrigare e non voglio perdere tempo. Tu piuttosto non ti attardare: quei due secchi pesano.»
Il monaco sorrise:
«Non più di tanto, quando ci hai fatto l'abitudine. E io ormai ho dimenticato da quanti anni ogni mattina vado a prendere acqua per il convento. Ma questa è la prima volta che ti incontro.»
«Infatti. Tuttavia avremo modo di vederci ancora, almeno una volta la settimana. Non c'è che questa strada per il mercato. E io ci andrò spesso»
Il cavaliere aveva voglia di chiacchierare.
«Finalmente questa regione esce dal torpore: c'è gente giovane come me che vuole intraprendere, commerciare, fare affari. Presto, vedrai, cambierà tutto. Anche questa stradina, tra non molto, diventerà una strada vera e propria. Ci passeranno carri, carovane, si allargherà, la asfalteranno... Il Paese si sveglierà. Porteremo il cambiamento. E nulla sarà più come prima».
Il giovane trasmetteva energia, passione, positività.
Il vecchio monaco lo osservava. Ascoltava le sue parole. Sentiva il suo entusiasmo.
Capiva. Anche se avrebbe desiderato non capire.
Il cavallo fece un leggero nitrito, come per ricordare che il viaggio non era terminato: e raspò la terra con uno zoccolo.
Il cavaliere sorrise:
«Mi richiama all'ordine, come vedi.»
Il monaco contraccambiò il sorriso:
«Ha imparato dal padrone, mi pare».
«Già», ammise il ragazzo, mentre stava per incitare l'animale alla partenza.
Ma gli cadde l'occhio a terra.
Uno dei due secchi portati a spalle dal monaco stava bagnando la stradina: con regolarità, una goccia neppure tanto piccola continuava a cadere dal contenitore più vecchio. E infatti mentre l'altro, sicuramente più nuovo, era ancora colmo d'acqua fino all'orlo, questo appariva pieno solo per tre quarti.
Il giovane si allarmò.
«Hai un secchio rotto, monaco. Probabilmente non te ne sei accorto, ma perde acqua. E' ora che lo butti via, se non vuoi rendere inutile la fatica che ti sobbarchi ogni mattina andando alla fonte».
Il monaco non mostrò stupore.
«Sei gentile ad avermelo segnalato, ragazzo. Ma lo so. E' da almeno due anni che questo secchio ha una piccola crepa. Accade a tutte le cose, col trascorrere del tempo. L'altro è più recente. Lo comprai l'unica volta che andai in paese: e scoprii appunto come è fatto un mercato.»
Fece una pausa.
Avrebbe voluto trattenersi, ma si lasciò andare alla confidenza.
«Confesso che quella esperienza mi è bastata e non l'ho più rifatta. Non rimetterei piede in città per nulla al mondo».
Fece una pausa.
Avrebbe voluto trattenersi, ma si lasciò andare alla confidenza.
«Confesso che quella esperienza mi è bastata e non l'ho più rifatta. Non rimetterei piede in città per nulla al mondo».
Il cavaliere si incuriosì.
«Dici che lo sai da almeno due anni? E non l'hai gettato via? Scusami, ma quando le cose non funzionano più, è ora di buttarle. I secchi, come ogni altra cosa, si consumano. Ci sono i mercati apposta per sostituire le cose vecchie. Se vuoi, te ne compro uno in paese e quando torno te lo lascio al monastero. Consideralo il mio dono: come ringraziamento per l'incontro di stamattina».
Il monaco fu colpito dalla gentilezza.
Era imbarazzato.
Come avrebbe potuto spiegare?
«Sei molto caro e cortese, mio giovane cavaliere. Ma questo secchio che tu vuoi gettare perché - dici - non 'funziona' più, 'funziona' perfettamente».
Il ragazzo, sempre più coinvolto dall'argomento, scese da cavallo e si avvicinò al secchio che gocciolava.
Gli passò una mano sotto.
La mostrò al monaco.
«Vedi? E' bagnata. Il tuo contenitore perde. E infatti, se guardi il livello dell'acqua nei due secchi, nel secchio vecchio e rotto manca almeno un terzo dell'acqua».
Il monaco fissò il giovane: con benevolenza, quasi con affetto.
Poi lo invitò a guardare la stradina che si stendeva davanti a lui.
«Cosa vedi?» gli chiese.
Il cavaliere non capiva.
Guardava: vedeva la stradina, polverosa, sassosa.
Uguale a quella che aveva percorso a cavallo fin lì.
Il monaco insistette:
«E' la stradina che ogni mattina faccio tornando dalla fonte. Non noti nulla di diverso da quella che ti ha portato sin qui?»
Il giovane si stropicciò gli occhi.
«Vedo terra, sassi e polvere. Cosa dovrei notare d'altro?».
Non servì l'invito a osservare meglio.
Allora il monaco lentamente si abbassò, stando attento a non far cadere i due secchi che ancora reggeva in bilico sulle spalle.
Con una mano, sfiorò il bordo della stradina e colse due fiori. Dai colori sgargianti.
«Lo faccio ogni giorno. Oggi è un'eccezione: due fiori anziché uno. Uno è per te. L'altro, come sempre, lo porto in convento. Rallegra la mia tavola, a mezzogiorno e a sera. E benedice la mia cella, mentre dormo. Il fiore mi ricorda la bellezza della natura.»
Il giovane prese il fiore dalle mani del monaco.
Non l'aveva mai fatto, ma gli venne naturale accennare a un breve inchino: come gli aveva insegnato la mamma da piccolo in segno di rispetto soprattutto verso le persone anziane.
Poi riguardò la stradina che ogni mattina riportava il monaco al monastero.
E finalmente vide.
Tutto il bordo di sinistra, dalla parte in cui il monaco faceva pendere, camminando, il vecchio secchio rotto, era un filare di fiori.
Un tripudio.
Il monaco attese che il giovane staccasse lo sguardo.
«Da due anni è così. Da quando il vecchio secchio è rotto. Io ho piantato dei semi lungo tutto il margine della stradina. Il resto l'ha fatto il secchio: perdendo l'acqua. E tu vuoi sostenere ancora che non 'funziona' e che io dovrei gettarlo via...?».
*** Massimo Ferrario, Il secchio rotto, inedito 2016, per Mixtura. - Rielaborazione creativa di una antica favola di autore sconosciuto, probabilmente di origine orientale, diffusa anche in internet.
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Bellissimo incoraggiante racconto: quando il vecchio diventa obsoleto,inutile,... non funziona, "non serve più"?
RispondiEliminaGrazie
Grazie del tuo grazie (!). E del seguito costante...
RispondiEliminaSo che il 'messaggio' è una goccia nel grande oceano che, esplicitamente o meno, ci invita ogni giorno a rottamare cose e persone.
Ma io amo le gocce.
Quelle che magari non ce la fanno mai a diventare mare, ma con la loro insistenza possono scavare la pietra.
Un saluto di cuore.