Io leggo sempre i programmi elettorali, perché non è vero che sono tutti uguali.
Nel programma di Stefano Parisi, candidato sindaco del centrodestra a Milano, per esempio c'è scritto che il migrante che arriva in città «deve fare propri i valori della cultura greco-romana e della tradizione giudaico-»cristiana». Non deve solo rispettarli, afferma paternalisticamente Parisi, ma addirittura «farli propri», cioè crederci intimamente.
A me questa posizione pare allucinante e fa molta paura; non mi importa se con notevole ipocrisia qualcuno la chiama integrazione: si tratta al contrario di un'assimilazione sociale, un processo in cui la cultura dell'altro viene trattata come minoritaria e subordinata alla propria, che è concepita come superiore per il solo fatto di essere preesistente su un dato territorio e di avere gli strumenti legislativi per proteggersi dal confronto paritario.
Un paese che ragiona in questo modo sarà multietnico, ma mai potrà essere multiculturale, perché questo implicherebbe l'azzeramento delle gerarchie tra culture e il riconoscimento che le differenze sono ricchezze, non minacce.
Tutti coloro che sui social, al bar, ai comizi o a tavola con gli amici ripetono che “chi viene qui deve adeguarsi alle nostre usanze” stanno alimentando l'illusione che in Italia esista un'identità statica riconoscibile, una specie di cultura originaria.
La storia, a studiarla, ci insegna il contrario: quello che definiamo "il nostro patrimonio culturale” è il figlio bastardo di mille letti, il risultato di un processo di incroci culturali, geografici, economici, etnici, volontari o forzati a cui nei secoli siamo stati esposti.
E' possibile un'altra idea di accoglienza?
*** Michela MURGIA, scrittrice, autrice del prossimo saggio Futuro interiore, Einaudi, 2016, da 'facebook', 23 maggio 2016, qui
In Mixtura altri 5 contributi di Michela Murgia qui (compresa la mia recensione al suo romanzo Chirù, Einaudi, 2015)
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