sabato 19 marzo 2016

#FAVOLE & RACCONTI / Il Commendatore e la Dottoressa (Massimo Ferrario)

Il Commendatore era solito ripetere che lui ‘si era fatto da solo’. E che grazie alle sue capacità e al duro lavoro, senza neppure un master e una laurea, aveva costruito un gruppo di aziende da far invidia ad una multinazionale.

Certo, non sempre i metodi usati erano adamantini. Spesso, col fisco erano oscuri e con i dipendenti e il mercato erano violenti. Nel settore, anche all’unione industriali, era noto per la politica dura e spietata nei confronti del personale: niente sindacato e comportamenti intimidatori. Gli piaceva vantarsi: «Mi conoscono bene: o si fa come dico io o si fa come dico io».

Negli anni, per inseguire il ‘must’ della crescita del profitto comunque e ad ogni costo, non aveva esitato: licenziamenti e ristrutturazioni selvagge, con demansionamenti e imposizione di turni massacranti. E poi, quando c’era bisogno, straordinari a go-go, di cui naturalmente almeno la metà in nero: anche se i dipendenti firmavano che tutto era in bianco.

Sì, non aveva scrupoli. 
E ‘scrupoli’, appunto, era il termine che usava spesso per dileggiare, tra i suoi dirigenti e quadri, quei pochi che ogni tanto si facevano domande, avevano dubbi, tendevano sommessamente a far capire che era meglio soprassedere o che la strada della trasparenza, alla fine, metteva meglio d’accordo coscienza e risultati.

Ogni anno, prima di Natale, il Commendatore organizzava una grande cena, con tutto il management del gruppo e le relative mogli. 
Lui proiettava i risultati. 
Era un fanatico del ‘pensiero positivo’ e quindi vendeva parole zuccherose che volevano scolpire a caratteri cubitali il concetto che il futuro era nelle mani di tutti, facendo credere che bastasse una visione ottimista per far succedere ciò che ci si attendeva e rimuovere difficoltà, problemi, avversità. 
Però si divertiva anche a strigliare gli ascoltatori, tutti ritti come scolaretti di una volta, perché i risultati fin lì raggiunti non erano mai sufficienti e l’asticella doveva essere alzata, sempre più su. «Altrimenti - non mancava mai di aggiungere in modo minaccioso - ci saranno conseguenze negative per tutti». 

Insomma, il solito vecchio ‘bastone-e-carota’ e la più volgare retorica di quelli che si riempiono la bocca ricordando che loro ‘appartengono alla trincea del fare’.

Ma prima di dare inizio al pranzo, si officiava il rito dei piatti, che erano stati apparecchiati volutamente coperti. 
Tutti si sedevano davanti al proprio piatto e attendevano. 
E guai se qualcuno non rispettava il comando che sarebbe arrivato: avrebbe dovuto buttare sangue nei primi mesi dell’anno nuovo per farselo dimenticare. 
Il Commendatore si sincerava che tutti fossero pronti e solo allora scattava l’ordine.
«Scoprite i piatti». 
Doveva accadere all’unisono. 
E ogni anno, il Commendatore valutava l’effetto della sincronia e provava una intensa emozione. 

Nascosta sotto il piatto, davanti a ognuno, compariva la famosa ‘busta gialla’.
L’apertura era accompagnata da mormorii che si diffondevano per tutta la sala: mentre il Commendatore e sua moglie, seduta al suo fianco tutta ingioiellata come una Madonna di Lourdes, giravano lo sguardo tra i tavoli per scrutare le reazioni. 

Avveniva sempre la stessa cosa. 
Alcuni, pochi per la verità, trovavano qualche assegno di importo modesto. 
Altri, la maggior parte, un semplice e poco originale ‘buon natale’. 
E altri ancora - pochi per la verità, ma per il Commendatore anche uno solo era di troppo - un biglietto bianco. 
Era la sorpresa più temuta. Perché sul retro del biglietto, a caratteri neri maiuscoli che anche un cieco non avrebbe potuto non vedere, si leggeva una parola terribile: ‘scrupoloso’. 

Destinatari di questo biglietto bianco erano quelli che mal sopportavano lo stile del Commendatore, anche se il loro dissenso, durante l’anno, si era manifestato comunque in modo molto cauto e tra infiniti atti pur sempre adulatori. 
Insomma, erano quelli che osavano compiere il ‘peccato assoluto’: si ‘facevano degli scrupoli’. 
E non avevano interiorizzato fino in fondo il mantra del Commendatore per cui ‘gli affari sono affari e tutto il resto sono palle’.

Quando il brusio cessò, tutti cominciarono a mangiare.

Ad un certo punto, un cameriere si avvicinò ad un commensale. 
Era il responsabile della sicurezza. 
Assunto da meno di un anno, si era trovato il biglietto bianco sotto il piatto. 
Per la verità, i colleghi lo avevano messo in guardia e lui, nel corso dei suoi primi mesi nella nuova azienda, aveva tentato di contenere certe sue perplessità circa la politica dominante. Ma evidentemente il suo carattere incapace di fingersi d’accordo quando era in disaccordo aveva prevalso. Il Commendatore aveva notato certi suoi dubbi e ora gli era arrivato il messaggio: bollato come ‘scrupoloso’. 
Anche la moglie sapeva del disagio: del nuovo lavoro del marito in questa azienda avevano parlato varie volte. E lui aveva cominciato a lanciare qualche segnale ai cacciatori di teste che conosceva. A lei aveva confessato: «Bisogna prendere atto, quando si è in un posto sbagliato, che il mondo è grande; e comunque la dignità e la coerenza non hanno prezzo». 
Ora, anche la moglie, seduta a tavola al suo fianco, aveva visto il biglietto bianco.

Il cameriere disse qualcosa all’orecchio del dirigente. 
Lui si alzò immediatamente e si precipitò fuori, con il telefonino in mano.
Rientrò dopo neppure trenta secondi. Aveva la faccia stralunata. 
Il Commendatore, cui non era sfuggito nulla, gli fece cenno di avvicinarsi. Ma lui, naturalmente, non ebbe bisogno dell’invito. Era già in piedi davanti al tavolo presidenziale.
Il Commendatore gli chiese se c’erano problemi aziendali.
Il responsabile sicurezza riferì che la segretaria del suo ufficio aveva chiamato il ristorante, non avendo trovato il suo telefonino acceso, e aveva lasciato un messaggio urgentissimo alla reception. Il cameriere, cercando tra i badge al collo di ognuno, lo aveva individuato e lo aveva avvisato di telefonare immediatamente in ufficio. E lui si era precipitato a contattare la segretaria. 

Il Commendatore era sulle spine. 
Stava spazientendosi: 
«E quindi, dottore?»

Lui gli gettò in faccia la notizia, a voce alta: perché tutta la dirigenza più vicina, ma possibilmente anche i tavoli più lontani, sentissero cosa era successo.
 «Un operaio. Un’ora fa. Si è gettato dalla torre. Aveva ricevuto la lettera di licenziamento con decorrenza dal prossimo 1 gennaio. Moglie disoccupata e tre figli piccoli. Morto sul colpo».

Lo smarrimento fu generale. Molti si portarono la mano alla fronte. 
Il Commendatore si coprì la faccia, appoggiando i gomiti sul tavolo. Restò così qualche secondo, poi scivolò dalla sedia e cadde a terra. 
Svenuto.
Subito la moglie, disperata, balzò in piedi e con tutto il fiato che aveva in gola gridò che si chiamasse subito un medico. 
Il responsabile della sicurezza, mentre si chinava sul Commendatore per verificarne lo stato, urlò il nome di sua moglie: che era medico e lavorava all’ospedale di zona. 
Lei aveva seguito il fatto dal suo posto-tavola, aveva intuito quanto era accaduto ed era già accorsa. 
Ora era chinata accanto al Commendatore sdraiato a terra e gli sentiva cuore e polso.

Arrivò l’ambulanza. 
E la dottoressa seguì il Commendatore al pronto soccorso.

Dopo un’ora, il paziente sembrava essersi ripreso. 
Alla moglie del responsabile della sicurezza che gli sedeva accanto, domandò cosa gli fosse accaduto.
«Un mancamento. Ma io, in termini poco medici ma molto umani, preferirei chiamarlo in un altro modo…
«E cioè?» chiese in ansia il Commendatore.
«Un colpo al cuore».
«Un colpo al cuore?» ripeté il Commendatore.
«Già» rispose la dottoressa. 
Lasciò passare qualche secondo, poi aggiunse: 
«La meraviglia? Il cuore ce l'abbiamo tutti. Anche quelli che si comportano come se non l'avessero...».
Il Commendatore rimase in silenzio. 
Poi cercò di riportare il discorso sul piano tecnico.
«Un infarto, quindi...» chiese con apprensione. 
«Stiamo facendo accertamenti. Intanto lei sembra stia reagendo bene ai farmaci».
Il Commendatore sembrò rilassarsi. 
Sorrise, cercando gli occhi della dottoressa.
«I farmaci sono la nostra salvezza. Guai se l’uomo non li avesse inventati…».
La dottoressa non rispose a questa evidente proposta di complicità. 
Lui insistette: «Non crede?»
La dottoressa sentì la sua voce che parlava da sola: 
«I farmaci non sono tutto. E ci sono persone che avrebbero bisogno, prima dei farmaci, di ben altro».
Il Commendatore era perplesso. Non era sicuro di aver capito.
«Cioè a dire…?».
La dottoressa non si trattenne: 
«Mai sentito parlare di umanità, di bontà o anche solo di etica, Commendatore?».

*** Massimo Ferrario, Il Commendatore e la Dottoressa, 2013-2016 - Rielaborazione creativa ispirata alla favola di Vhan Rhopa, Gli scrupoli del manager, in Vhan Rhopa, Lo zen e l’arte aziendale, Lupetti editore, Milano, 1993. 


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