La parola 'storytelling' potrebbe aver bisogno di un nuovo storytelling.
La reputazione del termine è infatti piuttosto bassa oggi in Italia.
Da un lato assistiamo a una parte di osservatori che associano questa parola a concetti prossimi alla "fuffa". Nanni Delbecchi, per esempio, ha scritto che lo storytelling non è altro che la supercazzola prematurata del Conte Mascetti.
Dall'altro assistiamo alla distorsione opposta, e non meno salutare: sembra che raccontare storie sia diventata la panacea di tutti i mali, il trucco per invertire le curve di profitto, l'arma segreta per vincere le elezioni.
Entrambe le teorie sono a mio avviso (particolarmente) sbagliate. Ma se hanno avuto questo livello di maturazione e di consenso, un motivo ci sarà. E come spesso accade in questi casi, la responsabilità sta nell'abuso dello strumento da parte di chi ha il potere di usarlo. (...)
Christian Salmon sostiene che l'arte (o meglio, la tecnica) del raccontare storie sia vittima di tre paradossi:
a. Più storie racconti, più lo fai in tempi compressi, più si perde l'effetto positivo del racconto. (...)
b. La leadership politica moderna è psicologicamente incompatibile con lo storytelling. (...)
c. Lo storytelling gira a vuoto, sconfitto dal "volontarismo impotente". (...)
Provo a iniziare un ragionamento che necessariamente richiederà altro studio e altra riflessione:
a. Raccontare storie solo quando si hanno storie da raccontare. Potrebbe sembrarvi una banalità, non lo è affatto. Spesso non si aspettano i numeri, i fatti, i dati per iniziare a raccontare. E si sbaglia. Si fanno promesse, poi la maggioranza litiga, poi ci si ferma. Quante volte lo abbiamo visto in Italia negli ultimi 20 anni?
b. Accettare l'idea che le storie possano essere raccontate da molti altri mittenti più credibili dei leader, a partire dai militanti o da chi beneficia delle leggi proposte dai governi. Gli storyteller dovrebbero organizzare storie già esistenti, più che produrne di nuove.
c. Fare discorsi di verità. Includere l'imperfezione come parte costitutiva del discorso politico. Accettare la sconfitta come elemento umano. Non negare l'evidenza. «La nostra bellezza non si realizza quando veniamo riconosciuti, quando veniamo premiati. Il nostro lato immenso si apre quando diciamo l’affanno, quando vediamo l’affanno degli altri. La politica non parla mai del dolore, della vecchiaia, della disperazione. E con questo si condanna a una penosa irrilevanza.» (Franco Arminio)
*** Dino AMENDUNI, giornalista, I tre paradossi dello storytelling, blog 'contropiede', 10 settembre 2015
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