Non essendo l'economia una scienza esatta, nessuno può dire con certezza quali saranno gli effetti reali della manovra, ammesso che il documento appena presentato poi diventi davvero legge finanziaria, e che passi senza stravolgimenti attraverso il Quirinale e l'Europa.
Voglio dire: considero con eguale stima - non necessariamente altissima, ma eguale - gli economisti che in questi giorni hanno previsto cataclismi con annessa miseria, carestia e sterilità; e quelli che invece hanno elogiato il documento per le possibili conseguenze in termini di ripresa dei consumi e di coesione sociale.
Certo è che una manovra così attenta ai ceti più bassi non si vedeva da decenni, forse da mai; il che qualche dubbio a sinistra dovrebbe porlo. Altrettanto certo è che non è una manovra redistributiva perché non redistribuisce un bel niente, non attacca i grandi patrimoni né le rendite finanziarie né le spese militari né semplicemente i redditi più alti, limitandosi a cercare di reintegrare un po' dei "penultimi" facendo più debito.
E sia chiaro, fare debito non è un tabù (a parte che per Monti e i vessilliferi dell'austerità) ma (se non accompagnato da altre misure distributive) non è neppure una scelta per l'uno o l'altro blocco sociale. Si cerca di non scontentare nessuno, rinviando il problema ai posteri pur di non colpire nessuno, di tenersi buoni tutti. E non è un caso che, alla fine, Confindustria abbia festeggiato lo scampato pericolo, ringraziando la Lega.
Se promettete di non fraintendere, aggiungo che è una manovra che richiama alla mente molti pezzi dell'ideologia economica del fascismo, quello che riteneva superato lo scontro di classe in nome dell'unione produttiva e nazionale delle classi già contrapposte. Il fascismo che portò all'Inail e all'Inps, per capirci e per dirla a sommi capi. E anche allora la sinistra storica accoglieva con imbarazzo o difficoltà di lettura delle riforme sociali. Queste riforme sociali peraltro andarono sempre più diluendosi negli anni in una sostanziale perpetuazione o accentuazione dei privilegi delle classi dominanti.
Altrettanto complessa - se ci mettiamo fuori dalle tifoserie partitiche - è la lettura di questa politica economica, di questo cocktail emerso dal connubio di un partito che nasce a difesa dei giovani, dei precari e dei dimenticati con un altro partito che invece rappresenta limpidamente il laissez-faire dei detentori di capitali e gli interessi antisociali dei forti. Tendenza che in assenza di vere scelte probabilmente nel tempo prevarrà - come impostazione economica - proprio come avvenuto nel Ventennio.
È una lettura complessa ma non così complessa da non poter essere compresa, metabolizzata e spiegata.
Non così complessa da dover ridurre la sinistra alla difesa incondizionata dei dogmi a cui nei decenni si è piegata. E che una sinistra seria proporrebbe di superare più sistematicamente - altro che trincea accanto ai teoreti dell'austerità - e con una chiara visione degli obiettivi sociali complessivi, visione che dal connubio politico di cui sopra viene accuratamente evitata.
*** Alessandro GILIOLI, giornalista, Non è poi così difficile, blog 'piovono rane - L'Espresso', 30 settembre 2018
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