sabato 8 aprile 2017

#FAVOLE & RACCONTI / Il falchetto che non voleva volare (M. Ferrario)

Per il bambino era diventata un'abitudine. 
Per pranzo, quando tornava da scuola e passava dai campi per arrivare alla fattoria, si fermava sempre almeno un minuto e li salutava entrambi, scambiando qualche parola.
Per la verità era uno scambio un po' asimmetrico: lui parlava, loro lo osservavano con i loro occhi intensi. Ma la loro comunicazione, fatta di sguardi più che di versi, ne era convinto, valeva più delle parole.

Il nido era in cima all'albero.
Il piccolo falco stava crescendo, ma era ancora imboccato da mamma-falco. Presto avrebbe dovuto prendere il volo, anche se per ora trovava comodo farsi coccolare e gustarsi pigramente il cibo che ogni volta si ritrovava in bocca.
  
Arrivò il giorno in cui il bambino vide il piccolo falco tutto solo: pensò che la mamma fosse andata alla ricerca di cibo. 
Dopo mangiato, sempre con il pensiero fisso al nido, tornò a curiosare: il piccolo aveva il capino ripiegato, pigolava e della mamma nessuna traccia.

Lo ritrovò così verso sera e cominciò a preoccuparsene.

Corse dal babbo per chiedergli spiegazioni.
«Possibile che mamma-falco l'abbia abbandonato?».
Il babbo gli carezzò la testa, con dolcezza.
«Stasera vai a dare un ultimo saluto al tuo falchetto perché è molto probabile che domattina avrà spiccato il volo. Se la mamma lo ha abbandonato è per stimolarlo a vivere la sua vita, senza più dipendere da lei: ormai si è fatto grande ed è ora che impari a cercarsi il cibo per conto suo.»
Il bambino non riusciva a calmarsi.
«E se domani il falchetto lo troviamo ancora lì?».
Il babbo lo rassicurò:
«Ogni cosa a suo tempo. Se sarà così, ci penseremo domani».

Il bambino andò a letto presto, sperando di addormentarsi subito per far passare la notte in un attimo: appena si fosse fatto giorno, sarebbe andato a controllare.
Ma la mattina, al primo chiarore dell'alba, il piccolo falco era ancora accoccolato dentro il nido, tutto solo: evidentemente lo stimolo della fame non era stato sufficiente a fargli abbandonare il ramo. Forse continuava ad attendere la mamma.

Il bambino ritornò dal padre: non riusciva a trattenere la sua ansia.
«Babbo, il falchetto è sempre lì. La mamma se n'è andata, ma lui non si muove. Morirà di fame, se non si deciderà a spiccare il volo...».
Il padre fece un sospiro. 
Guardò l'orologio.
«Mi pare si stia avvicinando l'ora dell'entrata a scuola. Comincia a prepararti, se no farai tardi».
Il bambino protestò: aveva la mente e il cuore occupati dal piccolo falco che non si decideva a volare. Era inutile che andasse a scuola, quella mattina. Voleva restare sotto l'albero: avrebbe parlato lui al falchetto e lo avrebbe spronato ad abbandonare il nido. 

Il babbo capì che doveva fare qualcosa.

«Facciamo un patto: tu vai a scuola come ogni giorno e smetti di pensare al falchetto. Segui con attenzione le lezioni del maestro. Poi, alle dieci e mezza esatte, durante il quarto d'ora di intervallo di metà mattina, ti avvicini alla finestra della tua classe e guardi in alto. A quell'ora avrai una sorpresa.»

Il bambino era titubante: sapeva che poteva fidarsi del babbo, ma stavolta aveva qualche dubbio. Forse il babbo voleva dire che a quell'ora il piccolo falco si sarebbe deciso a volare? E come mai il babbo era così sicuro che a quell'ora sarebbe successo?

Decise comunque di stare al patto: il babbo non lo aveva mai ingannato.
Prese lo zainetto, lo riempì dei soliti libri e quaderni che gli sarebbero serviti per la mattina e si incamminò verso la scuola.

Non fu facile smettere di pensare a quello che avrebbe dovuto accadere durante l'intervallo, ma ci riuscì: del resto il maestro era bravo nell'interessare i bambini e le dieci e mezza arrivarono in un baleno.

Così, appena la campanella suona l'intervallo, il bambino è affacciato alla finestra della classe: il cielo è limpido ed è una magnifica giornata di sole.
In alto, neppure un batuffolo di nuvole. 
Solo un falco: che vola tranquillo, compiendo giri sempre più ampi e lenti, prima puntando diritto verso il sole e poi scendendo verso terra. Su e giù, più volte. E poi in cerchi sempre più larghi.
Il suo volo è calmo, non ha la maestosità dei grandi falchi, ma è sicuro, deciso, come se il cielo fosse da sempre il suo ambiente naturale.

Il bambino non trattiene la gioia: che naturalmente vuole condividere subito con la classe e con il maestro, a cui in mattinata aveva raccontato delle ansie per il suo falchetto.
Tutti accorrono alla finestra e guardano il volo del falco, che inanella giri lassù in cielo: lo salutano con grida che si perdono nell'aria, mentre la campanella suona la fine dell'intervallo.

E' in quel momento che il falco compie una giravolta, puntando verso la scuola, e alla fine plana proprio sul ramo dell'albero più alto del giardino.
I bambini si sbracciano per farsi vedere e il piccolo falco si lascia guardare tutto orgoglioso di sé: sembra riconoscere l'amico che tutti i giorni non mancava di fermarsi a chiacchierare con lui prima di andare a pranzo.
Lo fissa negli occhi, incurante degli altri bambini che alzano gridolini continui per farsi notare.
E' fermo, immobile, sulla punta di un ramo che sporge proprio all'altezza della finestra alla quale tutti sono affacciati: apre per un attimo, con esibita fierezza, le sue ali, facendole muovere più volte, come per essere sicuro che siano notate.
Poi, con decisione, si dà una spinta e spicca il volo verso il punto più alto del cielo, scomparendo alla vista.

Al rientro a casa, il bambino abbraccia il babbo con particolare vigore.
E' doppiamente contento: perché finalmente il falchetto si era deciso a lasciare il nido e perché la previsione del babbo si era avverata.
L'uomo condivide la sua gioia.
«Allora, hai visto il tuo falchetto che volava su in alto nel cielo?»
«Certo, babbo. Sono felice. Però ho una domanda. Come facevi a sapere che alle dieci e mezza esatte il falchetto avrebbe spiccato il volo?».

L'uomo sorride.
«Perché a quell'ora ero sotto il suo albero. Lui era sempre lassù, immobile e mezzo addormentato: non sembrava per nulla intenzionato ad abbandonare il ramo e il nido. Allora ho scosso l'albero, come per comunicargli che era ora che se ne andasse: che aprisse le sue ali e cercasse il cielo. Niente. Ha solo alzato il capo e mi ha guardato come volesse dirmi di smettere di infastidirlo. A quel punto ho dovuto fare quello che già mi aspettavo di dover fare.»
«Cosa?».
«Sono salito sulla pianta e ho segato il ramo. E lui, per non cadere a terra, ha dovuto aprire le ali».

*** Massimo Ferrario, Il falchetto che non voleva volare, 2017, per Mixtura - Rielaborazione di uno spunto contenuto in un racconto anonimo diffuso anche in rete.


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