giovedì 1 dicembre 2016

#LIBRI PREZIOSI / "La vita al tempo della crisi", di Amalia Signorelli (recensione di M. Ferrario)

Amalia SIGNORELLI
 La vita al tempo della crisi
Einaudi, 2016
pagine 111, € 12,00, ebook € 7,99

Per (ri)pensare
Amalia Signorelli, allieva di Ernesto De Martino, è antropologa culturale di provata esperienza. Ha insegnato nelle scuole medie, per anni è stata docente ordinario all'università di Napoli, ha pubblicato numerosi saggi ed è impegnata come opinionista nell'analisi della società italiana, esercitando un pensiero critico di cui si avverte sempre più bisogno nell'appiattimento conformistico dominante. 

Questa ultima breve opera (La vita al tempo della crisi) costituisce un stimolo intenso per riflettere sugli effetti della crisi in corso da anni, e dalla quale, almeno per quanto ci riguarda come Paese, sembriamo non liberarci mai. Il tentativo, a mio avviso riuscito, è stato quello di indagare le ferite che toccano l'esperienza concreta delle persone 'comuni', cercando di evidenziare gli aspetti di sofferenza e le possibilità di riscatto. 

Scrive l'autrice: «L’impossibilità strutturale di pensare, decidere e agire in termini di progetto (cioè secondo un’etica dell’andare oltre, un ethos del trascendimento) mi sembra un carattere culturale così fortemente distintivo del modo di vivere la crisi in Italia, che ho deciso di adottarlo come chiave di lettura e come pivot della mia ipotesi di ricerca. Intendo per paralisi progettuale l’impossibilità di andare oltre la datità dell’esperienza. Questa «impossibilità / inaccessibilità dell’oltre» può essere considerata uno dei sintomi più gravi di una crisi della presenza in atto: è quel progressivo ritirarsi del soggetto dal mondo e del mondo dal soggetto, che porta con sé la perdita del significato e del valore del mondo per il soggetto e, specularmente, l’impossibilità per il soggetto di riconoscere a se stesso significato e valore in rapporto al mondo. Almeno in tre ambiti della nostra vita sociale la presenza della paralisi progettuale è comprovata da dati oggettivi, che permettono di stabilirne, almeno, l’ampiezza e la durata. Il primo indicatore collettivo di paralisi progettuale è la crisi della natalità. (...) Il secondo indicatore collettivo potrebbe essere definito “il lavoro” (...). Terzo indicatore è l’assenteismo elettorale.» 

E' in corso la sperimentazione, travagliata e anche dolorosa, di nuovi stili di vita e stiamo cercando nuovi valori. Il bilancio provvisorio non pare essere molto esaltante: ma il risultato va misurato nel medio periodo. Mantenere la speranza è già un obiettivo non piccolo. Riflettere su quanto ci accade, anche se non ci dà automaticamente la progettualità capace di divenire soggetti di un processo che troppo spesso viviamo (correttamente, peraltro) come 'cadutoci addosso', è già di per sé un aiuto. 
Il libro, per il suo taglio diretto anche a non specialisti, capace di unire chiarezza di linguaggio a profondità di riflessione su contenuti pure noti, ma qui indagati con occhio non scontato e modelli originali, ci riesce: si hanno conferme, si medita, si apprende.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

https://it.wikipedia.org/wiki/Amalia_Signorelli
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(...) nel 2015 i nuovi nati sono stati 488 000 circa, 15 000 in meno rispetto all’anno precedente. Il tasso di fecondità di ciascuna donna è di 1,35. Contemporaneamente però la famiglia ha riconquistato un ruolo del tutto centrale, dominante nella vita quotidiana degli italiani: e questo grazie al fatto che si è rivelata come l’unica istituzione in grado di garantire un minimo di sicurezza per la sopravvivenza, in una società presa nelle spirali della disoccupazione crescente e della povertà montante. (Amalia Signorelli, La vita al tempo della crisi, Einaudi, 2016)

Se nel lavoro si è aperta una forbice pericolosa che distanzia sempre più le prestazioni superqualificate da quelle comuni, se queste ultime diventano ogni giorno meno richieste perché sostituite dall’automazione e dai robot; e divengono altresí ogni giorno peggio pagate perché questa è la condizione alla quale è ancora conveniente impiegarle, in prospettiva bisogna accettare l’ipotesi di una realtà sociale ed economica in cui non c’è lavoro per tutti, in cui la disoccupazione è assolutamente strutturale. 
Da alcuni questa prospettiva viene rifiutata e confutata in vario modo; ma altri gruppi di studiosi e di politici, la accettano come inevitabile, anzi come già in atto. Però propongono di contenerne gli effetti disastrosi introducendo quello che è stato chiamato reddito di cittadinanza, cioè un assegno pagato dallo Stato a cui si avrebbe diritto per il solo fatto di essere cittadini. Le proposte avanzate sono più d’una, variamente articolate e anche abbastanza differenti; gli interessi che una riforma del genere andrebbe a toccare sono numerosi e forti; la discussione pertanto è assai vivace. 
Come che sia, la separazione generalizzata del reddito dal lavoro introdurrebbe, almeno nei paesi occidentali, un cambiamento culturale radicale, profondissimo e le obbiezioni di ordine non solo economico, ma anche morale che vengono mosse al reddito di cittadinanza (potrebbe diventare un incentivo generalizzato all’ozio e al parassitismo, potrebbe distruggere lo spirito di iniziativa, l’inventiva, la creatività degli individui e dei gruppi) mostrano che esiste una certa consapevolezza delle implicazioni culturali di un provvedimento del genere. Peraltro è pur possibile sottolineare gli esiti “positivi” che il reddito di cittadinanza potrebbe produrre: fine dei rapporti di dipendenza, clientelari e aziendali, diminuzione della competizione esasperata e cosí via; insomma un mondo piú buono. Come che sia – e al di là delle diverse ipotesi e previsioni – è comunque fuor di dubbio che la tendenziale trasformazione del sistema-lavoro è nei fatti e prima o poi dovrà essere affrontata. Ci si chiede se qualcuno, da qualche parte del mondo, abbia già cominciato a esaminare le conseguenze prevedibili. (Amalia Signorelli, La vita al tempo della crisi, Einaudi, 2016)
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