sabato 8 ottobre 2016

#FAVOLE & RACCONTI / Oriente e Occidente, l'errore iniziale secondo Wu Zhi (M. Ferrario)

Ambedue, chini sull'acqua del torrentello, hanno appena iniziato a lavare le ciotole, dopo aver mangiato di buon gusto un pugno di riso scondito mescolato con un po' di tofu.

Il sole occhieggia tra le foglie degli alberi e luccica nelle cascatelle d'acqua che formano qui e là, nel corso del torrente, piccole pozze. 
In qualcuna di queste, più larga e profonda, situata giù a valle dove il torrente si trasforma prima in fiumiciattolo e poi in fiume vero e proprio, d'estate è bello immergersi e trovare refrigerio.

Il giovane discepolo Li Min è stato accolto dal maestro Wu Zhi solo da un giorno. 
Entrambi stanno facendo conoscenza, in attesa che a fine settimana, insieme, possano decidere se il lungo e faticoso percorso di apprendimento che attende l'allievo abbia davvero le probabilità di essere fruttifero.
Il maestro cercherà di sondare la reale disponibilità ad imparare dimostrata da Li Min e Li Min avrà modo di valutare se l'autorità di 'grande saggio', da tutti attribuita a Wu Zhi, conosciuto peraltro come figura originale e eterodossa rispetto ai maestri orientali più noti, sarà anche per lui stimolo motivante per impegnarlo negli anni di studio e meditazione che saranno la sua principale preoccupazione per il futuro.

I gesti dei due, nel lavare le ciotole, sono lenti e misurati. 
Un leggero vento fa oscillare i rami degli alberi che si affacciano sul torrente: il silenzio è rotto solo dallo stormire delle foglie e dall'acqua che, caduta dopo caduta, scende saltellando sulle pietre.

L'operazione di lavaggio non è ancora terminata, quando Li Min si rivolge al maestro.
«Posso farti una domanda, maestro?»

Wu Zhi non risponde. 
Il sospiro che emette è quasi impercettibile. 
Interrompe la pulizia della ciotola, poggiando delicatamente a terra la sua tazza, sul sasso più vicino della riva.
Poi guarda Li Min, benevolmente. Non intende sgridare l'allievo, solo ricordare, anche a se stesso oltre che al giovane discepolo, una verità ovvia.
Le parole suonano come una costatazione e vogliono essere dolci.
«Sì, Li Min, devi imparare».

L'allievo è sorpreso: non capisce, è confuso.
«Cosa devo imparare, maestro? Ho forse sbagliato a parlare?».
Wu Zhi sorride, scuotendo la testa.
«No, Li Min: per carità. Parlare, per noi umani che possiamo farlo, a differenza degli altri animali, non è mai male. Se si parla a tempo. Altrimenti è improprio: disturba. Noi stessi per primi.» 

Il ragazzo sta cercando di cogliere il senso delle parole del maestro: aggrotta le sopracciglia.
Wu Zhi riprende.
«Stavamo lavando le ciotole. E' una cosa importante, lavare le ciotole. Tutto ciò che facciamo è importante. E anche quello che non facciamo, ma viene fatto dal nostro corpo senza che ce ne accorgiamo: come il soffio d'aria che ispiriamo o espiriamo, o il cuore che batte, o i piedi che muovono un passo dopo l'altro.»

Il giovane è attento, tuttavia fatica a comprendere.
Gli dispiace aver sbagliato.
«Ma io non volevo disturbarti, maestro. Se l'ho fatto, davvero non era mia intenzione e ti chiedo scusa.»

Wu Zhi apre il viso a un sorriso indulgente e rassicurante.
«Ma certo, ragazzo. So bene. Non è questo il punto. E del resto è il primo degli apprendimenti di chi vuol percorre una strada di meditazione saper vivere il momento presente: il qui-ed-ora. Abbandonare i movimenti automatici, che facciamo a nostra insaputa. E 'sentire' l'adesso in cui siamo. Le azioni che stiamo compiendo. Dal respirare al lavare una ciotola. C'è un tempo-per e c'è un altro tempo-per. Cioè: ogni cosa, ogni singola cosa, ha il suo tempo: 'deve' averlo. Un tempo per la ciotola e un tempo per le domande.»

Il maestro si concede una pausa. 
Poi riprende. 
«Ma ora che ci siamo presi il tempo per parlare, dimmi, Li Min: anche tu poggia la scodella e fammi la domanda che ti sta a cuore. Poi riprenderemo le nostre tazze e finiremo di lavarle pensando solo a loro e a noi che in quel momento le staremo lavando.»

Li Min, un po' rosso in viso per l'errore commesso, si affretta a obbedire, collocando subito la sua ciotola accanto a quella del maestro, sullo stesso sasso.
Però, ora, per fare la domanda che si era proposto, ha bisogno di un ulteriore incoraggiamento. E Wu Zhi, che ha intuito il suo disagio, affettuosamente lo incita a dire.
«Ti ascolto, ragazzo:  sono tutto per te.»

Il discepolo si fa coraggio.
«Maestro, io come te appartengo a questa cultura: sono e mi sento orientale e credo nella superiorità dell'Oriente su ogni altra civiltà. Ne sono orgoglioso. Perché la spiritualità che ci caratterizza è fondamentale per vivere. Da tempo tuttavia mi faccio una domanda cui non so rispondere: questa. Perché l'Oriente è ricco di spiritualità e l'Occidente insegue tanto disperatamente il progresso materiale?».

Wu Zhi non trattiene una risata cristallina.
«E' un'ottima domanda, Li Min. E come sempre, alle ottime domande, proprio perché sono ottime, si danno risposte che non sempre sono... ottime. Non so quindi se la mia ti soddisferà, anche per la sua natura apparentemente scherzosa, ma magari serve per continuare la conversazione...».

Li Min è tutto orecchie.
«Dimmi, maestro.»
Wu Zhi vorrebbe essere serio, ma la faccia lo tradisce.
«Forse la ragione sta nel fatto che quando all'inizio furono distribuite le risorse per questo pianeta, l'Occidente poté scegliere per primo».

Il discepolo coglie l'ironia. Ma capisce che non si tratta soltanto di ironia.
«'Poté'?» chiede Li Min. «Nel senso che 'gli fu concesso', oppure che lui stesso, l'Occidente, 'si concesse' la scelta, prendendosi il progresso materiale prima ancora che l'Oriente potesse decidere?».

Wu Zhi stavolta ride di gusto, a bocca aperta.
«A giudicare da come normalmente l'Occidente si comporta, agendo come padrone nel mondo, più probabile la seconda eventualità che hai detto, caro Li Min. Io non ero presente e dunque posso solo ipotizzare. Comunque, credo che, in un modo o nell'altro, così sia andata. Tutto parte da quel momento».

Il giovane è visibilmente interessato: vuole approfondire.
Anche il maestro non nasconde di gradire il colloquio: il discepolo lo stuzzica, ha intelligenza, mostra originalità.

«Quindi - insiste Li Min - almeno con il senno di poi, l'Oriente, se avesse potuto, avrebbe scelto il progresso materiale anziché la spiritualità?».
«Chissà. Non lo possiamo dire. E la storia non si fa con i se e neppure con il senno di poi.»
«Be', però oggi possiamo mettere in fila una serie di fatti storici che ci aiutano a capire.»
«Vero. E questi fatti dimostrano con evidenza che queste due risorse sono state spartite in modo contrapposto. Non solo: forse oggi possiamo aggiungere di aver acquisito almeno una certezza.»
«Quale, maestro?»
«Che neppure col senno di poi l'Occidente ha capito che la sua scelta è stata, e rimane, la più sbagliata.»
«Doveva scegliere la spiritualità?».
«Non doveva scegliere il progresso materiale.»
«Perché, maestro?»
«Perché lo vedono tutti: sta mettendo a repentaglio la sopravvivenza stessa del pianeta.»
«E l'Oriente?»
«Non doveva rinunciare al progresso materiale.»

Il giovane allievo si sofferma a pensare: ha il capo abbassato, come per concentrarsi meglio. 
Si prende una manciata di secondi. 
Finché gli pare di rilevare un possibile problema.
«Ma da quanto tu immagini, maestro, la scelta che si prospettava a Oriente e Occidente era un 'aut-aut': o spiritualità o progresso materiale. Dovevano scegliere: o tutto dell'una o tutto dell'altro.»
Il commento di Wu Zhi è immediato.
«Per la verità non sappiamo se non ci fossero altre risorse in offerta. Ma se davvero l'invito fosse stato limitato a decidere fra queste due, come anch'io di proposito ti ho indotto a intendere con la mia battuta iniziale, avremmo la conferma che quasi sempre è così che nascono le scelte sbagliate.»

A Li Min si apre una nuova visione: non ci aveva mai pensato.
Ma non si accontenta e incalza Wu Zhi.
«Maestro, facciamo l'ipotesi più drastica, che appunto era abbastanza implicita nella affermazione non tanto ironica che hai fatto prima: immaginiamo che Oriente e Occidente abbiano davvero dovuto scegliere soltanto fra spiritualità e progresso materiale. Cosa avrebbero potuto fare di diverso?».

Wu Zhi ha la risposta sicura e le sue parole escono secche e decise: al di là del caso specifico propostogli dal giovane, il tema dell'aut-aut lo ha tenuto impegnato più volte in lunghe riflessioni, dalle quali ormai ha tratto una opinione convinta.
«Cosa avrebbero potuto, o dovuto, fare, mi chiedi? Una cosa semplicissima, ragazzo. Dunque... difficilissima. Trasformare l''aut-aut' in un 'et-et'. Accordarsi. E condividere ambedue, Oriente e Occidente, i corni di ciò che appariva loro come un dilemma: spiritualità o progresso materiale. Ma chi dice che fosse un dilemma? I loro occhi, forse la loro 'pancia', l'hanno visto e 'sentito' come un dilemma. Secondo l'ipotesi che stiamo immaginando, in realtà c'erano due offerte in campo: non una sola. Soltanto due: ma due non è uno.»

Li Min sta riflettendo: sente che in questo modo l'Oriente, che lui con orgoglio reputa superiore, forse avrebbe perso la sua specificità.
«E allora, maestro, la superiorità della nostra cultura?».
Wu Zhi sorride.
«E' quello che crede anche l'Occidente: pure l'Occidente è convinto d'essere superiore. Infatti pretende di imporre il suo progresso materiale, con la sua visione del mondo, a tutti. Con i pericoli che chiunque può immaginare quando un fattore relativo diventa assoluto. In questo caso, poi, mentre la spiritualità può arricchire ogni essere umano e non produce danni, a meno che si perverta e venga brandita come 'religione' (il che è accaduto più volte e non finisce di accadere), la 'religione del dio materiale' non solo impoverisce, ma rapina e uccide. La storia è lì a dircelo. E la probabilità di 'ecocidio', ormai, non è più un tema da fantascienza, ma una possibilità realistica: terrorizzante.»

Il giovane, colpito dalle considerazioni del maestro, è assorto.
Si è fatto silenzioso.
Non può che convenire: già, forse, con la trasformazione dell'aut-aut in et-et, nessuno avrebbe potuto più dirsi superiore, ma ci avrebbe guadagnato il mondo...

Però ora Li Min non trattiene un dubbio.
«Maestro, ma i due, Oriente e Occidente, avrebbero potuto fare la scelta 'condivisa' che tu dici?»
Wu Zhi ha un lungo sospiro.
Allarga le braccia, come a indicare che non ha certezze: se non le certezze prodotte dalle conseguenze, visibili,  di quella decisione originaria.
«Non lo so. Forse.»
«E perché non l'hanno fatto?»

Wu Zhi ha in testa una risposta ben chiara e argomentata, ma vuole far procedere il suo ragionamento lentamente: cercando le parole più adatte per esprimere correttamente il suo pensiero.
«Credo per almeno due ragioni, Li Min. Ma prima, dimmi: sai cos'è l''ossimoro'
«No, maestro».
«E' una parola che viene dall'Occidente. So che l'Occidente non è tra i tuoi mondi preferiti, ragazzo, ma imparerai che qualche volta anche da lì possono venire cose utili. O comunque capirai che nessun mondo è così originale come talvolta pensiamo, perché tutti i mondi appartengono, alla fine, a un unico mondo di umanità che ha abitato e continua ad abitare questo pianeta. E la comunanza, al fondo, dei pensieri degli esseri umani supera il tempo e lo spazio, rendendoci tutti più vicini, e meno diversi, di quanto in genere crediamo. Noi, in Oriente, conosciamo il principio dello yin e dello yang: riteniamo che sia l'essenza della vita, e siamo giustamente orgogliosi del nostro convincimento, perché basta osservare la realtà e lo vediamo in atto. Bene: l'ossimoro sottolinea aspetti in qualche modo simili. La parola stessa, che deriva dal greco antico, è quel che dice: perché sta a significare, insieme, 'acuto' (oxùs) e 'ottuso' (moròs). Unisce cioè due contrasti: e infatti l'ossimoro allude a una figura retorica che accosta due termini di senso contrario, o comunque in forte antitesi fra loro. Ecco, progresso materiale e spiritualità, messi in alternativa, possono richiamare l'ossimoro. Non so se sono stato sufficientemente chiaro...»

Il giovane annuisce, stimolando Wu Zhi a proseguire: per quanto gli sembra, al momento ritiene di aver capito, anche se avrebbe desiderio di approfondire. Ma adesso ha troppa voglia di ascoltare il seguito.

Il maestro intuisce l'impazienza di Li Min e ritorna al punto.
«E allora ecco le due ragioni per cui forse Oriente e Occidente non sono riusciti a compiere un'altra scelta. La prima è che scegliere consapevolmente l'ossimoro, uscendo dalla prigione dell'aut-aut per sfidare l'et-et, esige prima di tutto un guizzo di creatività non scontata: frutto in parte di una scelta consapevole e in parte di una 'illuminazione' che misteriosamente... 'ti arriva', se la sai propiziare con un 'giusto' e 'normale' atteggiamento aperto capace di investire la realtà come regola di vita. Solo allora riesci a vedere le cose dall'alto: in modo sistemico. E a non vedere solo alberi 'o' solo foresta, ma entrambi: alberi 'e' foresta.»

Li Min non frena l'irrequietezza: è curioso, l'argomento lo sta appassionando. Senza accorgersi, interrompe.
«E la seconda ragione, maestro?»
Wu Zhi, bonariamente, lo riprende:
«A tempo, Li Min, a tempo... C'è un tempo per dire e un tempo per ascoltare. Se si vuole e si sa ascoltare...».
Il giovane, mortificato, si inchina.
«Sono imperdonabile, maestro. Ti chiedo scusa. Ma le tue parole mi appassionano e non so attendere... Devo imparare anche questo.».

Wu Zhi gli dà un buffetto sulla guancia, con benevolenza, e prosegue.
«La seconda ragione è la difficoltà di governarlo, questo ossimoro. E' un governo che esige impegno, pazienza, costanza, capacità di resistere alla tensione degli opposti. Senza espungere uno dei due poli, o finire schiacciati, inconsciamente, su uno dei due, facendolo prevalere sino a uccidere l'altro. Insomma: ci vogliono dosi massicce di equilibrio, capacità bilanciamento, sensibilità 'armonica': distanziamento e, insieme, coinvolgimento dialettico su ambedue le dimensioni che compongono la coppia conflittuale degli elementi. Prendere tutto di un solo fattore, invece, soddisfa l'avidità. Anche se poi, il rischio è l'indigestione. In questo caso - risulta evidente - un'indigestione di progresso materiale, ma forse, talvolta, anche l'eccesso di spiritualità sbilancia: hai lo sguardo solo dentro te o sulla relazione tra te e il mondo, e rinunci ad 'agire sul' mondo e 'con' il mondo, magari per spingerlo a cambiare, a migliorarlo. E poi, quando si fa indigestione di idee, valori, visioni, convinzioni, qualunque sia il loro 'colore', l'arroganza del fondamentalismo acceca.»

Il giovane non si è perso una parola.
Rimugina.
Poi torna con il pensiero a quello che Oriente e Occidente, secondo Wu Zhi, non riuscirono a fare.
«Maestro, hai detto che la scelta da compiere, nella sua semplicità, era difficilissima. Io, se mi permetti, anche alla luce delle tue ultime parole, aggiungerei che era 'quasi impossibile'. E infatti ha prevalso l'aut-aut».
Il maestro concorda. 
«Sì: 'quasi impossibile', Li Min. Eppure, questo quasi, che tu stesso hai introdotto, lascia aperto uno spiraglio: forse Oriente e Occidente avrebbero potuto 'infilarcisi'. E provare: non a prendersi tutto di una cosa, ma ognuno un po' delle due cose. Questo fu l'errore. Ma questo è l'errore che, tuttora, tutti noi compiamo. Perché non comprendiamo che la vita - tutta, intrinsecamente - è un ossimoro. Fatta di contraddizioni, contrasti, differenze, opposizioni: bianchi e neri (peraltro con tutti i grigi possibili), giorno e notte, sole e luna, yin e yang. E così, nella nostra ignoranza, assolutizziamo. Prendiamo una parte perché non vediamo il tutto e facciamo diventare tutto ciò che invece è soltanto una parte. Polarizziamo i singoli aspetti della realtà e ci sfugge, come potrebbe ricordarci l'etimologia latina (oibò: occidentale...!) del termine, la necessità di abbracciare la complessità nella sua interezza. Ci manca lo sguardo 'alto, largo e lungo'. Siamo prigionieri di una consapevolezza opaca, miope e presbite insieme: più che vivere, rischiamo un semplice sopravvivere, un esistere automatico, alla mercé delle onde. Come un turacciolo che galleggia sull'acqua, trasportato e sballottato dalla corrente.»

Wu Zhi ha parlato con pacatezza, ma con passione: sono temi che gli stanno a cuore.
La forza e la durezza delle sue riflessioni finali non sono sfuggite a Li Min.
Il giovane è profondamente 'toccato', un po' spiazzato e un po' diviso: quanto ha ascoltato gli appare contemporaneamente chiaro e oscuro, semplice e difficile.
Un ossimoro, anche qui.
'Sente', ora, che dovrà 'trovare tempo' per 'digerire': i pensieri suggestivi di Wu Zhi lo stimoleranno a lungo.

Dopo un lungo silenzio, avverte il bisogno di confidare il suo sentimento:
«Sono confuso, maestro...»
Wu Zhi gli lancia un sorriso benevolo e comprensivo.
«Dunque sei nelle condizioni migliori per apprendere, caro Li Min. Se userai la tua confusione, cercando le domande e le risposte che ti stanno a cuore e avrai la 'pazienza attiva' di 'dare tempo al tempo', farai luce. Vedrai di più e ti rassicurerai. Anche se...».

Li Min stavolta si contiene e decide di attendere senza intervenire. Ma è Wu Zhi che indugia e forse si aspetta proprio di essere sollecitato. Per questo, il giovane, passati un po' di secondi, timidamente, azzarda:
«Anche se, maestro?».

«Lo scoprirai da te, ragazzo. Con la nuova luce che farai, vedendo di più, vedrai ombre che prima non vedevi e non sarai più sicuro dell'apprendimento appena raggiunto. Ma questo, appunto, si chiama apprendimento. Un processo. Che non finisce mai.»

Wu Zhi, adesso, sta rivolgendo lo sguardo a terra, in direzione delle ciotole.
Il messaggio è un invito esplicito: dopo il tempo della conversazione, è tempo di finire la pulizia delle scodelle. 
Maestro e allievo, in silenzio, raccolgono da terra le tazze e si chinano sul torrente per reimmergerle nell'acqua. 
Poi, con le mani, ripassano più volte gli interni delle scodelle, lentamente, sciacquandoli e risciacquandoli con manciate di acqua fresca e limpida: sentono le dita intirizzirsi mentre vedono diventare le tazze lucenti. 

Non è facile - anzi, sembra 'quasi impossibile' - per il giovane smettere di pensare alla conversazione appena terminata e concentrarsi sui gesti che sta compiendo per finire di lavare la ciotola.
Però, mentre Wu Zhi gli sorride, ricordandogli così silenziosamente  e affettuosamente di non distrarsi perché in quel momento solo il lavaggio della ciotola è importante, ci sta provando.

*** Massimo Ferrario, Oriente e Occidente, l'errore iniziale secondo Wu Zhi, 2016, per Mixtura. Rielaborazione creativa, originale, ampliata e del tutto trasfigurata, di un breve spunto contenuto in Anthony de Mello, Un minuto di saggezza nelle grandi religioni, 1985, Edizioni Paoline,1997


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