venerdì 11 marzo 2016

#SENZA_TAGLI / Disabili, nella giungla italiana (Roberto Saviano)

Ci sono paesi come il nostro in cui è meglio nascere bianchi. Meglio poi al centro-nord, dove le opportunità di lavoro e di realizzazione sono maggiori. Meglio scoprirsi eterosessuali e decidere di sposarsi. E ancora non basta: oltre a essere eterosessuali bisogna anche essere fertili, perché se sciaguratamente capita di soffrire di sterilità, allora gli ostacoli da superare sono tanti. Economici, perché la fecondazione eterologa ormai legale non è praticata ovunque, spesso i tempi d’attesa sono lunghissimi e quindi si ricorre al privato. E morali, perché immagino non sia facile scegliere la fecondazione assistita in un Paese dove si continua a ripetere che chi non può avere figli non deve accanirsi perché quell’impossibilità è un veto divino.

Qui faccio un inciso che vale per ogni ambito della ricerca scientifica (lo denunciava la senatrice Elena Cattaneo a “Presa Diretta” parlando di oscurantismo) su cui pesano i ritardi italiani. Nell’innovazione, nella sperimentazione e soprattutto la pratica assurda di voler indirizzare sempre il lavoro dei ricercatori, di volerne stabilire perimetri e ambiti, nel voler applicare una morale paternalistica alla ricerca. Questo ci rende sempre ultimi sul versante scientifico, non per assenza di talenti, ma per mancanza di libertà. E questo ci rende ultimi anche sul versante dei diritti civili, ambito legato a doppio filo con quello della ricerca scientifica, che ha come fine ultimo migliorare le condizioni di vita dell’uomo.

E quando nasce un bambino, comunque sia stato concepito e sia venuto alla luce, in un Paese come il nostro, non resta che augurarsi più che altrove che sia sano. Eh sì, perché se l’Italia non è un Paese per bambini, sicuramente non lo è per bambini disabili: il sistema è talmente al collasso che l’unica speranza che resta alle famiglie in cui questi principi e queste principesse crescono, è l’empatia di chi sta attorno. Di un insegnante di sostegno che decida di fare bene il proprio lavoro, di un impiegato pubblico che prenda a cuore una pratica per l’ottenimento di una pensione di invalidità. E come sempre, una società che si basa solo sull’empatia dei singoli, è una società che ha fallito la sua missione.

In genere quando si parla di bambini, la solita frase: «Con tutti i problemi che abbiamo, dobbiamo pensare ai disabili» arriva strozzata, perché nel mantra disoccupazione e crisi economica, talvolta un po’ di lucidità giunge a far comprendere che welfare significa soprattutto prendersi cura di chi sta peggio, perché anche chi sta peggio paga le tasse. Secondo l’Istat si tratta di 3 milioni di persone in Italia, il 5% della popolazione; secondo il Censis sarebbero di più: 4,1 milioni, il 6,7% della popolazione. Dei 3 milioni di disabili stimati dall’Istat, un milione e mezzo convivono con due o tre disabilità. Circa 700 mila hanno problemi di movimento, oltre 200 mila hanno difficoltà sensoriali, quasi 400 mila hanno limitazioni che impediscono le normali funzioni della vita quotidiana. 3 milioni di persone coinvolgono tre milioni di famiglie, che sui 30 milioni di famiglie stimate in Italia significa il 10%.

Quello di cui questo governo - come del resto i precedenti - non si rende conto, è che ignorando i diritti delle minoranze, diritti di cui legittimamente i cittadini dovrebbero godere, sta gettando le basi per qualcosa di molto pericoloso. Tante minoranze fanno una moltitudine, una moltitudine che non si sente più politicamente rappresentata. Quando l’Inghilterra, stremata dalla Guerra dei sette anni, impose tasse alle tredici colonie americane, queste risposero ponendo un’alternativa: mandare tredici rappresentanti al parlamento di Londra o di essere esonerati. Il principio era: “No taxation without representation”.

Da qui nasce l’indipendenza degli Stati Uniti e da questo semplice concetto dovrebbe partire la politica per capire che si sta muovendo su un terreno minato: non rispettare le minoranze, non concedere diritti, non rispettare quelli esistenti, significa far sentire sempre più cittadini non rappresentati. Cittadini che si chiederanno che senso ha pagare le tasse, se non hanno alcun servizio. Cittadini che smetteranno definitivamente di partecipare alla vita politica del loro Paese. Che non avranno più fiducia. E più studio e osservo, meno riesco ad attribuire responsabilità a quei cittadini che dovrebbero trovare il tempo e la forza di monitorare chi amministra la cosa pubblica, mentre sopravvivono in questa giungla chiamata Italia.

*** Roberto SAVIANO, giornalista e scrittore, Essere disabili nella giungla italiana, 'L'Espresso', 4 marzo 2016, qui


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