mercoledì 9 settembre 2015

#RITAGLI / Tasse, la deriva neoliberista (Laura Pennacchi)

(...) Vogliamo avvalorare l'idea - tipicamente neoliberista - che le tasse sono un furto, un esproprio, un "mettere le mani nelle tasche dei cittadini" - parole che abbondano nel lessico di Berlusconi e Tremonti - e pertanto legittimare moralmente chi si sente autorizzato a evaderle? O vogliamo considerare le tasse un "contributo al bene comune" - parole del Catechismo sociale della Chiesa e della nostra Costituzione - perché il mezzo con cui reperire le risorse necessarie a finanziare da un lato una redistribuzione egualitaria per le famiglie e per i cittadini, dall'altro strade, ferrovie, reti, scuole, ospedali, asili nido, riassetto idrogeologico, riqualificazione dei territori e delle città, ricerca e sviluppo e innovazione? 
Vogliamo riconoscere nell'operatore pubblico l'interprete fondamentale della "responsabilità collettiva", da esercitarsi congiuntamente alla responsabilità individuale ma per il cui esercizio è essenziale la raccolta per via fiscale di risorse adeguate, o vogliamo ridurre "al minimo" lo Stato in quanto Leviatano vessatorio (così anche depotenziandolo), spostando tutto sulla responsabilità individuale e lasciando il singolo solo, una volta che le tasse gli siano state decurtate, a sbrogliarsela con le incombenze della vita?
Non dobbiamo dimenticare quale sia l'obiettivo vero del neoliberismo. Il suo motto è "affama la bestia". E la bestia sono lo Stato e le istituzioni pubbliche da affamare sottraendo le risorse provenienti dalle tasse.
Ha ragione Vincenzo Visco quando ricorda le parole "destrorse" sulle tasse dei Tea party americani e che i partiti di centrosinistra, a partire da quello di Barack Obama, "non sbandierano slogan contro le tasse", ma fanno "pagare le tasse ai ricchi" per finanziare sviluppo, lavoro, welfare. (...)

I tagli fiscali hanno effetti espansivi minori dei programmi di spesa. Con 5 miliardi di euro l'operatore pubblico può creare direttamente 400.000 posti di lavoro in un anno. Ma ci vuole un "Piano del lavoro" analogo a quello che realizzò Roosovelt con il New Deal, che contempli anche misure di creazione diretta di lavoro per giovani e donne - incorporanti iniziative per il servizio civile come era nella proposta di "Esercito del lavoro" di Ernesto Rossi -, attivando lo Stato "socializzatore" dell'investimento, della banca e dell'occupazione di cui parlarono Keynes e Minsky.
Così emergono le logiche alternative che sottostanno ai due tipi di intervento, l'uno agente solo per incentivi indiretti e benefici fiscali volti a sollecitare gli animal spirits del mercato, l'altro invocante una diretta responsabilità pubblica e collettiva, straordinaria quanto è straordinaria la situazione odierna.

*** Laura PENNACCHI, 1948, economista e politica, Almeno il Pd deve difendere le tasse, 'Il Fatto Quotidiano', 31 luglio 2015

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