Alle sei del mattino sul balcone
voglio vedere il sole all’orizzonte
e resto lì finché mi piace, poi vado
al mare a fare il bagno.
Non penso a nulla. Qualcuno
penserà per me, io soltanto
penso il mio respiro penso
che un altro giorno mi aspetta,
perché all’alba il sole
dice cose da segnare sul taccuino.
Ringrazio il destino per i miei possedimenti:
questo balcone, il mare, il cielo e l’ape
che s’aggira sui fiori e stamattina
ronza come ronfa il gatto se l’accarezzi.
Insomma, sono molto ricca.
*
A mezzogiorno se resto sul balcone
non vedo nulla, sono abbagliata e sudo.
Forse gli occhiali scuri mi rivelano
la realtà? Meglio serrare
gli occhi tapparmi in fondo al corpo
come nel deserto sotto una tenda
mentre il silenzio in agguato è belva
pronta a inghiottirmi. Sul balcone
tornerò stasera: ci sarà la luna
che rinfresca le ustioni e culla
angosce e ossessioni inganna
pelle e cervello. Sarò una fata un elfo
o semplicemente creatura ibrida
dai sogni calmi e buoni ma solo
se sul balcone non mi muovo
o m’inginocchio muta sotto il cielo
come a pregare il nulla.
*
Alle nove di sera sul balcone
non c’ è né passato né avvenire. Il sole
è calato. Da quando? L’aria estiva
tutto accarezza, liscia e indifferente.
Noi non abbiamo più niente da dire.
Da troppi anni mostri quel profilo
e io lo fotografo ancora una volta
Ancora una volta restiamo a fissare
il grande abete di fronte a noi: la cima
in inverno si spezzò sotto la neve.
Adesso è cresciuto più bello di prima.
Stasera non dobbiamo lamentarci
ma graffiare a fondo il muro spezzare
in due la luna le sedie e i bicchieri
uscire per sempre da questo fermo-immagine.
Sappiamo la consueta modalità:
passeggiare eleganti sui fogli
riordinare le parole ineleganti fuori posto
sistemare quello che non va
darsi una ragione logica di tutto
e guai a piangere.
*
A mezzanotte su questo balcone
perché siamo qui? Cosa ci stiamo
a fare? Adesso è quasi freddo.
Schiacciato dal buio, il corpo smania
si contrae, la voce l’ha ingoiata la notte.
Infine scendiamo in strada di corsa
forse dietro un odore un sibilo, uno strano
rumore. Perdiamo le scarpe e le unghie
dei piedi si allungano si torcono ora
sono rostri artigli terribili e il libeccio
ci porta via in alto qua e là ci solleva
più su, più su, si scontra duro
coi nostri becchi affilati
con le ali che battono furiosamente
battono la profondità del buio
e non vediamo più nulla non si può
con queste pupille d’uccello
questa leggerezza
questa vertiginosa altezza
non si può riconoscere
da qui dove siamo
un piccolo balcone lontano
lontanissimo
dove forse una volta
prima di mezzanotte
c’era stato qualcuno.
*** Lucetta FRISA, 1949, poetessa, scrittrice, traduttrice, Prima di mezzanotte, in 'filid'aquilone', n. 47, luglio-dicembre 2017, qui
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