C'è in giro, tra gli intellettuali, i giornalisti e gli amici-qualunque, la convinzione, diffusa e ripetuta, che 'dopo' non sarà più come 'prima'. E che noi saremo diversi. Migliori. Capaci di inventarci un mondo più rispettoso: di noi, degli altri, della natura. Meno rapacemente orientato al profitto. Ritmato sui tempi dell'umano. Più condiviso. Ancora dialettico, ma pacificato. Con relazioni più del tipo homo homini homo che del tipo homo homini lupus. E via sognando forme di vita, e di con-vivenza, più o meno paradisiache.
Sono convinto anch'io che la crisi che stiamo vivendo segnerà una rottura: quando ne usciremo, non torneremo alla vecchia normalità. Il futuro non sarà quello che immaginavamo 'prima'.
Ho invece qualche dubbio sul fatto che 'noi' avremo acquisito quelle consapevolezze che in questo momento immaginiamo come logiche conquiste: prossime e quasi ineluttabilmente conseguenti.
Mi piacerebbe.
Ma, realista quale caparbiamente sono e resto, non mi faccio illusioni.
Temo che il nostro cambiamento sarà minimo: quanto basta per operare quell'adattamento che la nuova vita ci richiederà: durissima, peraltro, tranne che per i soliti pochi che nello sfascio sempre ci guadagnano.
Se va bene, cambieremo lo stile. Ma stile non è sostanza.
E qui ci vorrebbe una sostanza nuova.
Insomma: metteremo in campo la solita re-attività.
Importante, ben inteso.
Ma nulla a che vedere con la 'pro-attività': che sarebbe indispensabile per disegnare, e poi praticare, quel cambio che solo produce trasformazione. Non semplice regolazione.
Una trasformazione di sistema. Di noi stessi. Nel profondo.
Mi sbaglierò. Perché gli anni vissuti e l'esperienza accumulata possono impedire il sogno - sano e fecondo - che rompe la storia e finalmente apre al nuovo e al meglio. Ma il passato, comunque, qualcosa sempre dice. E ciò che finora dice è che anche ieri abbiamo avuto tante occasioni-segnali, inequivocabili quanto preoccupanti, per modificare nella sostanza il nostro essere e agire nel mondo. Certo, se non l'abbiamo fatto, non significa che ora non possiamo.
Anzi.
Lo auspico disperatamente.
E per questo spero che tutta questa sovrabbondante miscela positiva, diffusa a macchia d'olio, di felici convinzioni, buoni atteggiamenti/sentimenti e bei proponimenti, non rappresenti solo il comodo rifugiarsi in un wishful thinking che ci consoli dal dramma senza fine che stiamo vivendo.
Avremo bisogno di nuove pratiche: davvero rivoluzionarie rispetto allo ieri. Che pretenderanno scelte di priorità finora non adottate: né dalla politica, né dalla economia, né da noi stessi nel nostro vivere quotidiano.
Non si può credere che saremo diversi restando gli stessi.
E per non restare gli stessi, occorrono impegno, fatica, coerenza.
Soprattutto rinunce alle belle e comode abitudini di prima. E focus, finalmente, su valori e prassi finora solo declamati. E solo da una minoranza, tra l'altro: intensa, magari, ma pur sempre minima.
Non ci serve la retorica, dolce e suadente, del cambiamento che riempie la bocca e non costa nulla. Di questa retorica abbiamo abusato finora: anche di queste prese in giro, di noi stessi e degli altri, non dovrebbe essere più tempo.
Non vorrei che questa credenza - essere diversi restando gli stessi -, assurda razionalmente, ma non così stranamente spiegabile a livello inconscio, continuasse a funzionare da culla per tutti noi.
Un virus ce lo sta insegnando: non sarebbe un cullarsi beato. Sarebbe soltanto beota.
Con l'aggravante che potevamo capirlo anche prima. Tante volte.
Con l'aggravante che potevamo capirlo anche prima. Tante volte.
*** Massimo Ferrario, Dopo la crisi, per Mixtura
In Mixtura ark #Spilli di Massimo Ferrario qui
Nessun commento:
Posta un commento